Ieri si è svolto in tutto il mondo il flashmob internazionale One Billion Rising contro la violenza sulle donne. Partito da una chiamata di Eve Ensler, già nota per i Monologhi della Vagina e i vari V-day, ha coinvolto donne e uomini di tutto il pianeta: scopo della manifestazione era ovviamente non un semplice balletto da danzare sulle note di Break the chain ma un modo per sensibilizzare milioni di persone sul tema della violenza di genere. Trasversalità è stata la parola d’ordine ma anche la precisa decisione di non dare un colore politico ai vari eventi che si sono succeduti nel corso di questa spettacolare ventiquattr’ore in totale autogestione.
In una Italia sotto campagna elettorale, a livello mediatico, questa giornata è stata da una parte accolta con una “profonda” analisi, ossia è stata bollata e catalogata da subito come “una pagliacciata”, mentre da un’altra parte è stata vista come l’occasione ideale da strumentalizzare e dirottare per far emergere facce note e partiti politici che si sono fatti beffe della mancanza di colore politico della manifestazione e hanno cercato in tutti i modi di cavalcarla per trarne visibilità.
A livello non virtuale ma reale invece, migliaia di singole donne e in generale milioni di persone in tutto il pianeta si sono mobilitate autorganizzandosi per riuscire a far parte di questo avvenimento mondiale: ore di prove, incontri, condivisioni, discussioni, danze, si sono succeduti per giorni, talvolta per mesi, in preparazione all’evento finale.
Avendo messo a disposizione di chiunque ieri questo articolo del Huffington Post che muove delle critiche serissime e importanti all’OBR e avendolo visto condiviso e riassunto un po’ ovunque da donne bianchissime e nazionalizzate, mi sono posta anch’io il problema dell’internazionalità dell’evento e della sua presunta colonizzazione: se da una parte può essere vero che alcune donne congolesi o iraniane abbiano mosso delle critiche di neocolonialismo (mentre nei commenti all’articolo ci sono le smentite) e alcune si siano addirittura “sentite offese”, d’altra parte la localizzazione dell’OBR, l’autorganizzazione e l’autogestione hanno di fatto controbilanciato queste critiche. Cosa accade infatti quando una manifestazione non è nazionale ma internazionale?
Per farmi un’idea maggiore di come si sia svolto localmente l’avvenimento ho chiamato semplicemente al telefono Anna, una delle organizzatrici di One Billion Rising a Nuoro e le ho fatto qualche domanda.
Jo: Ciao Anna, raccontami un po’ com’è andata, come avete fatto ad organizzarvi, incontrarvi..
Anna: Ciao. Come ben sai Nuoro è una realtà piuttosto piccola, ci si conosce, si hanno amici in comune, ci si saluta, è andata nel modo più semplice possibile: con il passaparola. E poi da lì abbiamo cominciato a condividere l’evento sui nostri profili facebook e infine abbiamo creato la pagina. In pochissimo tempo abbiamo cominciato a vederci e provare, fino all’appuntamento finale.
Jo: Avevi già partecipato a manifestazioni nazionali, come Snoq il 13 febbraio 2011 ad esempio?
Anna: No, non avevo partecipato. Di OBR ci è piaciuto proprio il fatto che si potesse organizzare e partecipare dal basso, questa cosa ci ha veramente entusiasmato. Snoq c’era, o meglio c’erano le persone che ne fanno parte ma non sono mica venute come Snoq: sono venute come Paola, Manuela, Patrizia, come tutte le singole che hanno deciso di unirsi alla danza collettiva. Perfino alcune persone delle istituzioni mi hanno contattata per telefono dopo aver saputo la notizia del flashmob e io ho spiegato che per aderire bastava scendere in piazza e danzare come tutte noi.
Jo: A proposito di danza, oltre alla coreografia di Break the Chain ho notato con sorpresa anche la presenza di mamuthones e issohadores, maschere tradizionali del carnevale barbaricino che sta impazzando in questo periodo dell’anno.
Anna: Sì, queste maschere sono una presenza che abbiamo fortemente voluto poichè fanno parte della nostra identità, sono un elemento che ci contraddistingue. I mamuthones e gli issohadores per di più sono maschi e rappresentano profondamente, in maniera ancestrale, il maschile nella nostra tradizione: per questo motivo li abbiamo voluti “contaminare” e abbiamo deciso di volerli con noi.
Jo: A Nuoro mamuthones e issohadores, a Oristano invece simbolo della manifestazione la regina Eleonora d’Arborea e c’erano perfino i tenores. Balli sardi tradizionali e flashmob globalizzati hanno accompagnato i vari appuntamenti del OBR nostrano: com’è potuto accadere?
Anna: OBR era non solo autorganizzato dalle persone del posto ma si declinava a seconda della località, della tradizione, della cultura in cui l’evento si svolgeva. La coreografia era solo un canovaccio in cui intessere la propria danza contro la violenza sulle donne. OBR è stato un evento glocale dove la globalizzazione e l’internazionalità si sono fuse con la localizzazione e la particolarità dando vita a avvenimenti differenti e unici a seconda della latitudine in cui si sono svolti.
La glocalizzazione dunque, come altro filo conduttore dei vari eventi , la possibilità di poter declinare un tema importante come la violenza sulle donne a livello internazionale a seconda della cultura di appartenenza, unendoli universalmente con la temporalità dell’azione senza imporre cappelli nazionalisti ma lasciando intatta la specificità dei singoli avvenimenti.
Sulle altre critiche rivolte alla manifestazione, mancando un’adeguata analisi italiana a riguardo, le domande restano invece aperte: One Billion Rising è stata un’occasione presa al volo o mancata? Una stupida pantomima che “non serve” a niente? Un’occasione per mettersi in mostra e acchiappare voti in vista delle prossime elezioni? Forse alla fine nessuna di queste cose. Forse, come spesso accade, la complessità è troppo difficile da definire e contenere.