Alla fine tanto tuonò che piovve. “Una bella acqua davvero eh” si dice dalle nostre parti quando piove qualche ora, alcune volte una notte intera, il tempo giusto per far sì che spunti l’erba. Non pioveva decentemente da quelle giornate di metà luglio: all’inizio un odore fortissimo di polvere bagnata ci è entrato dentro le narici, su su fino al cervello ma abituati come siamo a tanti falsi allarmi abbiamo pensato “non durerà”. E invece sbagliavamo, da bravi morti di sete sembravamo proprio come rane, come dice la canzone, con la bocca spalancata a chiedere un’acqua che ci disseti.
semos sididos in sas funtanas, pretende s’abba parimos ranas
E alla fine ci siamo bagnati ma tu hai ancora negli occhi quelle pecore morte, incinte e morte di fame e il pensiero che quest’anno macellerai meno agnelli non ti va giù. Del resto non avevi e non hai soldi per pagare i mangimi alla multinazionale e speravi nell’acqua, nell’acqua che non scendeva , come un corpo dispettoso che faceva finta di lasciarsi andare, di stare al gioco, di provare piacere ma non veniva mai. Un utero che non dà frutto è quello delle pecore morte, un utero che non dà frutto è quello di tua moglie decisa all’aborto perchè non avete soldi per sfamare un’altra bocca e la precarietà e la disoccupazione e la crisi sono parole prive di senso per chi fa i debiti in negozio e non ha soldi per pagare la bolletta della luce.
como sos populos cascan che cane gridende forte “cherimos pane”
L’hai anche chiesto l’anticipo sul latte alla multinazionale, lo fai tutti gli anni, ma non te l’hanno concesso stavolta, nemmeno per comprare i libri ai tuoi figli che vanno a scuola e più ci pensi più ti chiedi che stanno studiando a fare: l’unica speranza è che non diventino come te o come tua moglie che pulisce il culo agli anziani e il titolo di studio gli serva a guadagnare soldi. Poi ci ripensi a tutti quegli studentelli che si prendono un’imbreachera come voi pastori alla festa di paese, magari anche lontano da voi, perchè loro saranno anche studiati e gente di concetto ma si sbronzano come voi e rabbrividisci pensando che campano dalle pensioni dei genitori perchè non trovano lavoro. Dio non voglia che ai tuoi figli tocchi la stessa sorte.
avocadeddos laureados, busciacca boida, ispiantados
Le rapine sono all’ordine del giorno, i sequestri di piante di cannabis pure: “se almeno potessimo” dicono in tanti, e chi non ha il coraggio patisce gana, chi è più spavaldo semina e finisce sul giornale. Altri continuano a battere la strada di una patria inesistente, arruolati e programmati a ripetere ordini e parole senza senso, carne da macello per poligoni e basi militari strapiene di uranio. E gli scioperi e le proteste di chi vuole la fabbrica o la miniera si succedono una dopo l’altra e trovano sbocco intersecate incredibilmente l’una con l’altra nelle istanze opposte dell’altro povero, in un accenno di guerra degli ultimi, tra lavoro e ambiente e tra vita e morte.
peus sa famene chi forte sonat sa janna a tottus e non perdonat
Nessuno si senta escluso, siamo in tempi di tirannia, infamità e carestia. Nessuno si senta messo da parte, dalla badante al poeta all’antropologo al pastore, il bisogno bussa in tutte le case. Ognuno resta in attesa del disordine creato dall’altro e non c’è altro modo per farsi sentire, ormai impastati nel fango come siamo tra questa terra e la pioggia che finalmente è venuta giù. Intanto facciamo i tonti, i sordi, e riguardiamoci: il mondo è così e non tornerà mai più come un tempo, un tempo che per quanto ci riguarda non è mai stato e mai sarà.
A sicut erat non torrat mai.
N.B. Il post è chiaramente ispirato a“Nanneddu meu (a Nanni Sulis)” del grande poeta Peppino Mereu, le parti in sardo sono citazioni dirette.