Women Are Heroes

Come qualcuno già saprà la zia Jo nutre grande stima e ammirazione nei confronti di ciò che viene comunemente definita Street Art o arte di strada, per coloro che la esercitano, per le pratiche e i messaggi ad essa connessi e le tecniche più disparate che comprende.

Uno dei suoi rappresentanti più noti in tutta la scena mondiale è JR, 27enne fotografo il cui nome e volto restano sconosciuti a causa dell’illegalità in cui opera ed anch’egli fruitore della più grande galleria d’arte del mondo: la strada.

JR è rimbalzato agli onori delle cronache nel 2006 dopo i tumulti dell’anno precedente nella banlieue di Parigi, quando decise di immortalare le smorfie dei beurs che la abitano e farne delle gigantografie da attacchinare sui muri dei quartieri più borghesi della capitale sbattendo in faccia ai francesi una scomoda realtà.

Nel 2007 invece lo street artist ed il suo amico Marco Berrebi lanciano il progetto Face to Face che prevede la scandalosa presenza di enormi manifesti di ritratti palestinesi sulla porzione di muro israeliana e viceversa.

Il 12 gennaio 2011 uscirà invece nelle sale il film di JR “Women are Heroes”, opera che comprende anche un libro, una mastodontica esposizione pubblica lungo la Senna e varie mostre in diverse città, presentato al 63° Festival di Cannes con musiche dei Massive Attack e racconta lo straordinario viaggio di questo artista tra favelas e slum nel tentativo di dare un volto e un valore a donne sconosciute che abitano nei posti più poveri della terra e che lo stesso JR definisce “eroine quotidiane”.

Brasile, Sudan, Sierra Leone, Liberia, Kenya ma anche India, Cambogia e Laos sono i paesi scelti per far dialogare gli abitanti di questi posti poverissimi, coinvolgerli attraverso l’arte partecipativa favorendo il confronto attraverso un’operazione artistica pubblica e corale.

In particolare nello slum di Kubera in Kenya l’azione di JR si spinge fino alla compartecipazione artistica del passaggio del treno tra le baracche e le gigantesche fotografie con i ritratti delle donne che vi abitano sono realizzate in materiale impermeabile affinchè possano anche essere utili alla copertura dei tetti.

Con un’operazione quasi magica JR riesce a dare dignità e voce a tante donne sconosciute, spesso vittime di violenza e discriminazione.

Attraverso i loro volti e sguardi queste piccole, dimenticate figure femminili si raccontano davanti all’obiettivo dell’artista, svelano se stesse e si ingigantiscono fino a diventare immagini grandissime, simbolo e specchio della realtà in cui vivono, e poi elevate su tetti, ritratte su scalinate, muri e abitazioni fino ad essere visibili perfino dallo spazio.

Credo proprio che mi toccherà vederlo, questo film.

http://www.youtube.com/watch?v=xvcKq4HcRAM

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Tanti auguri.

Oggi la zia Jo è andata in città: una così bella giornata di sole non poteva essere sprecata.

Fare un giro sconclusionato tra la folla prenatalizia porta in sé qualcosa di edificante, più di una visita al manicomio criminale: in queste mattinate deliranti girano un sacco di loschi figuri tra i quali si possono distinguere i viveurs lampadati seduti ai tavolini del bar e i cafoni che sgommano con i SUV.

Le vetrine addobbate per il Natale incipiente, i jingle bells ad ogni angolo di strada, gli sfigati sottopagati da negozi in franchising vestiti da Babbo Natale che chissà per quale motivo offrono caramelle a tutti tranne che a me. E questo è un vero peccato sia perché a me piacciono le caramelle sia perché adoro accettarle dagli sconosciuti.

Forse è per via del mio viso imbronciato e dello sguardo che tradisce un enorme scoglionamento nell’assistere a questo assurdo circo.

Come tutte le brave signore anch’io mi fermo davanti ad un negozio di scarpe, un po’ per rispettare lo stereotipo “donna=scarpa” e un po’ per osservare i prezzi: siamo sui 180 euro per un paio di tronchetti. Più in là pigiami, vestaglie e intimo vario che, a parte qualcuno di quei cafoni di cui sopra, nessuno si potrà permettere.

Faccio un giro e ovunque prezzi da capogiro. La crisi morde e nessuno compra niente, si limitano tutti a passeggiare irrequieti perché vorrebbero comprare, è d’uso fare regali per le feste, anzi più che una tradizione osservando le facce direi che deve averlo ordinato il medico come cura salvavita.

Io sono fuori dal giro di queste stronzate da troppo tempo: probabilmente l’ultimo regalo che ho fatto per le feste natalizie risale agli anni ’90, ad occhio e croce anche prima che Kurt Cobain si sparasse. Ogni tanto mi fermo a contemplare un mondo che non mi appartiene e che tutto sommato mi annoia e mi lascia indifferente, preso com’è dalla sua stupida smania consumistica.

Quelle vetrine e quei prezzi però mi perseguitano e scavano dentro, non mi lasciano in pace, mi sembra che gridino vendetta di fronte a tutto ciò che vedo e che sento ogni giorno, nel frattempo mi sorprendo a chiedermi con che coraggio un qualunque negoziante si metta a compilare quegli astronomici cartellini.

Ovunque la generazione P, che è la mia, sfruttata nelle boutiques alla moda con il miraggio del miserevole stipendio a fine mese, oppressa nei turni massacranti dei supermercati, piegata e asservita in part time e full time per quella ricompensa da poche lire con cui alla fine ci si potrebbe comprare al massimo due paia di scarpe di quelle che ho appena visto.

Incontro qualche conoscente che si informa sul mio stato di isolamento coatto volontario e nel frattempo ne approfitta per raccontarmi le sue sventure, dapprima quasi con vergogna, in punta di labbra e sottovoce, poi mano a mano con vigore e passione: sfighe e speranze che finiscono con le pulizie domenicali in una concessionaria, assieme alla mamma, per portare un po’ di spicci in più a casa e riuscire a finire l’università con zero speranze per il futuro.

E allora me ne vado un più in là , cammino in cerca del sole, verso quello spazio dove non ci sono palazzi ad oscurare il cielo, mi siedo sul monumento di non so quale eroe morto, infestato dalle cacche di cane sulle aiuole a godermi queste belle esalazioni di monossido di carbonio e questa meravigliosa luce del solstizio sulla faccia. Mi compiaccio dello spettacolo di questa furia e di questa finta pace che sento galleggiare sospese nell’aria, la pianto con i miei soliti toni di lotta e faccio mentalmente a tutti auguri di buone feste.

Tanto per cominciare, auguri a quelli che sono tutt’altro che pezzenti, perché loro sono gli unici che possono permettersi di festeggiare adeguatamente e sfondarsi lo stomaco innaffiandosi a vicenda con lo champagne, sperando che si ricordino di lasciare qualche briciola agli altri in beneficenza, che il torrone gli vada di traverso e che il fenomeno dell’autocombustione smetta di essere un avvenimento raro specie quando indossano una pelliccia e si ricoprono con centinaia di animali morti.

Auguri ai poveracci, tanti, troppi, dai disoccupati/e ai cassintegrati/e, che pensano sempre e solo alle bollette da pagare, a come “arrivare alla fine del mese” e ad Equitalia che gli sta alle costole.

Auguri agli amici ed ai nemici, nella speranza che nei prossimi dieci anni il mondo si capovolga e le famose “sicurezze” di tutti siano andate a farsi friggere.

Auguri a coloro che sperano in un’eventuale caduta dell’attuale governo convinti che quello successivo sarà sicuramente migliore ed illudendosi di avere enormemente progredito nel cammino della civiltà e tante altre stronzate.

Auguri ai radical chic, a chi veste di velluto d’inverno e di lino d’estate, si può permettere di fare il cinico per le cose serie e l’entusiasta per le cazzate, sperando che si estinguano in massa tra finti consumi sostenibili e aperitivi del sabato sera.

Auguri agli inguaribili ottimisti, come mia madre più che settantenne, che dalla sua pensione minima ogni mese stringe e taglia un po’ di qua e un po’ di là per racimolare qualche decina d’euro da spedire a due ragazzini africani e garantirgli un’istruzione adeguata, convinta in assoluta buona fede di riuscire in parte a tamponare quell’enorme abisso che ci sta inghiottendo in massa.

Auguri a chi mette figli al mondo di questi tempi perchè ne ha veramente bisogno, come in tutti gli altri tempi del resto.

Auguri ai migranti e alle migranti che compiono lunghi viaggi a rischio della vita per approdare in queste terre d’Occidente ed essere umiliati e sfruttati, rinchiusi in lager di Stato, maltrattati e condannati ad un’esistenza al limite dell’umano.

Auguri a tutte le donne che hanno intrapreso un cammino di liberazione e di emancipazione dalle regole imposte e non scritte, da abitudini consumate, da vessazioni quotidiane, da violenze fisiche e morali. A quelle che sanno fare rete, che vivono appieno la solidarietà ed oggi come ieri lottano contro il bavaglio e le catene che ci vorrebbero imporre.

Auguri a chi gli auguri non li vuole, se ne sbatte delle feste comandate, non fa l’albero, non ha un dio da far nascere ed è una befana tutto l’anno, non ha nulla da perdere né qualcosa da vincere.

E infine auguri a me, che invece di buttarmi nella mischia senza capo né coda ogni tanto mi fermo a riflettere, a guardarmi dentro, ad interrogarmi su cosa potrei portare di nuovo e di bello in questi nuovi movimenti che nascono dal basso.

Sempre che non decida anch’io di mettermi a sfasciare mercedes e bruciare camionette della polizia, un po’ per il gusto di vedere degli oggetti andare in malora, un po’ perché questa rabbia che mi porto dentro non solo riesco a guardarla bene in faccia ma ho ancora la decenza e l’umiltà di riconoscerla come mia.

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Maledetti blecche blocche!

Visto che ne parlano tutti, visto che è tutto un rincorrersi di notizie sull’argomento, di accuse e scuse e problemoni morali e visto che ogni brava donnina di casa dovrebbe essere al corrente di queste cose allora tocca anche a me scrivere della giornata del 14 dicembre a Roma.

Anche se non ero lì e non fa molto figo commentare da dietro lo schermo tutto ciò che è successo ho proprio tanta voglia di toccare l’argomento black bloc, meglio definiti “teppisti” dalla tv generalista.

Questi individui, questi facinorosi chi sono, cosa vogliono? Sono infiltrati della polizia, pagati, mercenari, i soliti quattro gatti dei centri sociali, ultras, anarchici, nazisti, non ci si è capito nulla.

E quanti erano? Chi ha lanciato i tavolini dei bar? E le sedie? Chi ha bruciato mezza urbe? Non si fa, non si fa!

Saranno mica i tizi del blocco nero, che si muovono tutti compatti e svelti come leprotti ,tipo quelli che abbiamo visto a Genova, contro i simboli del potere, le banche e le istituzioni tutte.

Ricordo che erano veri e propri idoli di tutti quelli che “ccioè, io con gli sbirri cerco lo scontro” ma isolati dai più ortodossi (“Credono di esserlo, lo potranno diventare, ma oggi, ora, non sono anarchici”). Augh.

Sarà, ma a me non sembravano affatto quelli là, con “i tamburi e le bandiere, le marcette e i passi battuti” del G8, ma forse mi sono persa gli strumenti musicali da qualche parte tra i filmati di youtube, tra un lacrimogeno e un naso fracassato. E poi pare che si siano anche sciolti, proprio come un complesso rock.

Questi terroristi di Roma hanno fatto danni per 20 milioni di euro, oh 2-0 m-i-l-i-o-n-i e non l’ho detto mica io, l’ha detto Alemanno, quello che lanciava le molotov e pestava la gente in gioventù, che si è fatto bene i conti e con quei soldi ci si pagavano quasi dieci giorni di missione di guerra in Afghanistan. Mi sono confusa: di pace, missione di pace.

“Professionisti della guerriglia” diretti da qualcuno di sicuro, da una regia occulta che cerca lo scontro di piazza per far cadere il “governo del fare”, magari da Rosy Bindi o da Bin Laden, non ci è dato saperlo per ora.

E’ legittimo però continuare a chiedersi chi li ha mandati, chi li paga questi anarcoinsurrezionalisti, perchè una cosa è certa: non possono essere persone a noi care, i nostri figli e figlie, i nostri fratelli e sorelle, no.

Poi lo sanno tutti che questa è la generazione rincoglionita da Harry Potter, i diciottenni di oggi sono tutti emo o viziati bimbominkia che pensano solo ad avere il cellulare di ultima generazione e non hanno disagi, non sentono pressante la preoccupazione per il loro futuro.

E’ risaputo che i ragazzi cresciuti a pane ed amicidimaria non hanno coscienza critica, sono stati anestetizzati da elezioni berlusconiane e studioaperto a tutte le ore, non potrebbero mai essere paragonati a quelli che hanno fatto il ’68 che andavano in fabbrica a lottare con gli operai. Perchè allora le fabbriche erano ancora aperte.

Allora sì che si voleva cambiare il mondo, non importa che gli ex sessantottini ora siano i baroni delle università, allora era BLABLABLABLA e Pasolini aveva detto che BLABLABLABLA e Gandhi invece BLABLABLABLA e la seconda guerre punica BLABLABLABLABLA.

Ma poi non si capisce neppure l’utilità di questa sottospecie di rivolta portata avanti da un manipolo di delinquenti (50 in tutto, l’ha detto Saviano), a cosa sarà servita tutta questa dimostrazione di forza, tutti questi scontri con le forze del dis-ordine, tutti questi tentativi di assediare una casta di cialtroni prepotenti gonfi di soldi e privilegi, asserragliati nei palazzi a negare un futuro a tutti, impegnati solo nei loro squallidi giochi di potere.

A cosa servirà poi un “moto popolare” come lo chiamerebbero gli storici, è un vero mistero, forse questa teppaglia vorrebbe dimostrare che questo Paese è composto da pacifisti a tutti i costi ben sistemati e pasciuti, col culo sui diritti ottenuti da altri con la lotta e il sangue, che si fregiano di belle parole come “democrazia”, “valori” o “nonviolenza” senza muovere un muscolo, facendo la rivoluzione con il loro migliore servizio da the e la solita X sulla casella con un nome scelto da qualcun altro per loro.

Beh, si sbagliano, gli italioti sono tutti brava gente, mica sono ignavi.

Insomma, questi maledetti blecche blocche non si capisce proprio da dove siano saltati fuori, oltretutto si spostano anche velocemente, figurarsi che ieri erano già ad  Atene a picchiare i papponi e domani saranno probabilmente a Londra, roba da non crederci! Sicuramente hanno tanti soldi e conoscenze in alto loco.

Io propongo di ignorarli, facciamo finta che non esistano, oltretutto siamo anche sotto Natale, si può mai fare la Rivoluzione quando siamo tutti più buoni?  No.

Vedrete che se non gli diamo importanza non lo faranno più, scompariranno come per magia. Forse.

http://www.youtube.com/watch?v=iogxxUlcdlo

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Wikileaks, il dito e la luna

Mentre i soliti italioti si occupano del gossip che riguarda Julian Assange ossia gli svedesi notoriamente incivili che promulgano leggi illiberali come il “sex by surprise” mentre noi eravamo “rimasti allo swing”, donne femministe che architettano false accuse strumentali ma non Stati che utilizzano accuse vere in maniera strumentale, la Cia /il Mossad / George Soros / Topo Gigio o chi per loro che paga Tizio-che stava-per-fallire per riferire una serie di rivelazioni mica tanto rivelatorie, nel resto del mondo sta succedendo il patatrac.

Come riferisce oggi Rampini si sta già procedendo all’arresto di quegli hacker che nei giorni scorsi hanno paralizzato i siti di Visa e Mastercard, che com’è noto avevano fatto terra bruciata attorno a Wikileaks, mentre il resto dell’immenso esercito clandestino promette una vera guerra se Assange verrà estradato in Svezia (ma non perchè gli freghi qualcosa di A. come persona).

Gli hacker sono davvero tanti ed agguerriti, tra loro quelli che hanno perso la battaglia di Napster e di Piratebay (:() e gli ormai mitici Anonymous che diedero battaglia a Scientology.

Viene spontaneo chiedersi: ma come mai questa cyberwar? A che pro?

Come dicono i soliti cinici sinistrorsi che arricciano il naso ad ogni piè sospinto, saranno tutti ragazzini avariati che non hanno nient’altro da fare se non convincersi che c’è la Rivoluzione in rete mentre noi, com’è noto da più di 14 anni sotto il governo di un ricco nano mafioso razzista e sessista, siamo i geni della situazione. Oppure no.

Magari sarebbe meglio informarsi  da chi ne capisce più di noi prima di trarre conclusioni o stare da una parte piuttosto che dall’altra visto che, nel voler decifrare questa vicenda alla Beautiful, perfino quel genocida di Putin si è dimostrato assai più democratico di Obama; altrimenti si finisce come dice la famosa frase del dito e della luna e che ora non ricordo bene ma mi pare che si concluda con un tizio che guarda la luna mentre gli mettono un dito in culo.

Copincollo quindi questa analisi da Info Free Flow e li ringrazio per aver fatto un pò di luce nel mio cervello offuscato.

Wikileaks: frammenti di disordine globale

Il momento storico in cui Wikileaks opera è decisivo: è quello della crisi dell’egemonia militare, economica, politica, culturale e tecnologica statunitense.

La caduta del secondo muro del ’900 (Wall Street) riproduce le sue richieste di glasnost (“openness”) e perestrojka (“change”) perché persino nella caratterizzazione che la vulgata neoliberista le ha dato l’ideologia democratica ha subito una degenerazione. L’imperativo è la riforma del sistema, l’overstretching planetario degli Stati Uniti segna il passo dall’Iraq all’America Latina, l’esecutivo è debole e sotto tutela da parte di chi ambisce ad una risoluzione reazionaria, integralista ed autenticamente “statunitense” della crisi ideologica.

E dentro a questo scenario già complesso di suo comincia ad aggirarsi uno spettro che bisbiglia nelle orecchie di chi lo incontra: «Le informazioni in rivolta scriveranno la storia».

Spettro ci sembra il termine più adatto per descrivere la figura di Assange, sia per i suoi connotati fisici sia per l’evanescenza con cui è riuscito per diverso tempo a farla franca da polizie e servizi segreti di tutto il mondo.

Eppure la vicenda di WL (Wikileaks), di cui ancora molti capitoli dovranno essere scritti, produce ricadute estremamente concrete, tali da determinare fratture profonde nei reticoli tradizionali del sistema informativo globale, attraversati in questi giorni da movimenti di disaggregazione, scomposizione e riaggregazione. Fratture che rappresentano un punto di non ritorno, espandendosi a trecentosessanta gradi e non a senso unico.

Medium is the message

Spazziamo il campo dagli equivoci. Queste frammentazioni hanno poco o nulla a che fare con i contenuti rivelati dalle comunicazioni trafugate dalle ambasciate statunitensi sparse per il pianeta. Larga parte delle novità di cui l’ultima release di WL ha reso partecipi milioni di persone sono dettagli non sostanziali (e noti tra gli addetti ai lavori) sull’inclinazione e la traiettoria della politica estera di Washington.

Che la politica energetica italiana sia un boccone amaro per gli Stati Uniti, e che anche in questo senso vada letto l’avvicinamento di Roma prima alla Russia e poi alla Libia, non è una novità per nessuno dai tempi della conflittualità innescatasi tra lo zar Putin ed i governanti ucraini. Né sono casuali gli interessi ENI nella costruzione del gasdotto South Stream.

Che l’abbraccio tra Europa ed i cugini d’oltre oceano sia diventato più tiepido e formale negli ultimi anni e che anzi, il dispiegamento dei processi di integrazione europea, col venir meno della loro funzione anti-sovietica, rappresenti un cruccio per le amministrazioni americane succedutesi dal 1989, è un dato rintracciabile in qualsiasi manuale di storia delle relazioni internazionali di livello anche solo sufficiente.

Che gli attacchi contro Google di qualche mese avessero la loro origine nelle più alte sfere del governo cinese, ce lo testimoniava l’obbiettivo contro cui erano stati sferrati, la loro frequenza, la loro portata, la loro riuscita e più in generale il contesto internazionale in cui andavano a collocarsi. Non solo perché, da diverso tempo ormai, la cybersfera sta diventando luogo di scontro privilegiato nella dialettica tra grandi potenze, assumendo un peso sempre maggiore nelle voci dei bilanci della difesa statali, ma anche perché va delineandosi in modo sempre più marcato una situazione di antagonismo tra i due maggiori competitors globali, tale da rendere impensabile la presenza di un attore come Big G nel giardino di casa di Pechino.

WL va però osservata  con lenti più ambivalenti (necessarie per cominciare a comprendere il fenomeno in tutta la sua complessità), tralasciando prospettive spocchiosamente soggettive e specialistiche, senza dimenticare (pur mantenendo i debiti punti interrogativi) che per milioni di persone la veste dell’ufficialità oggi che avvolge fatti fino a ieri solo notori rappresenta uno scarto notevole.

Così come rappresenta uno scarto (tanto più per l’era digitale) il fatto che il baricentro della trasparenza (che Internet ha spostato da diversi anni in modo completamente asimmetrico a favore di chi governa la politica e l’economia globale) si sia spinto sin sulla soglia del sancta sanctorum delle ambasciate statunitensi: un pentolone scoperchiato, che scardinando una delle caratteristiche peculiari della comunicazione diplomatica, rappresenta una pericolosa anomalia.

Ma tali scarti sono appunto ambivalenti: il significato che potranno assumere non è definito aprioristicamente ma è una partita tutta da giocare. La palla da biliardo è stata tirata in mezzo alle altre: anche la otto nera può finire in buca.

Prima di tutto: cosa è WL?

Con questo termine ormai non si può più intendere solo l’omonima organizzazione diretta da Julian Assange ma si deve far riferimento ad una metonimia, un concetto che ne articola altri interdipendenti tra di loro su diversi livelli. In termini mediali la risultante è un oggetto ibrido, una miscela esplosiva, frutto di un sapiente dosaggio tra ingredienti diversi: vecchi e nuovi media, orizzontalità P2P e rigida verticalità, opacità e trasparenza.

Essa si compone di:

  1. Una struttura tecnologicamente avanzata che in questi giorni ha avuto la capacità di resistere ad attacchi su larga scala, operati principalmente (ma non solo) tramite DDOS. La matrice del sistema di comunicazione è immaginata per garantire un alto livello anonimato e di sicurezza nella trasmissione dei dati al fine di non mettere in pericolo le
  2. fonti, le quali, possiamo solo ipotizzare, sono collocate in diversi livelli della sfera dell’amministrazione statunitense.
  3. Un vertice direzionale che svolge compiti di capitale importanza fra cui le modalità ed i tempi di rilascio dei leaks ed un’attenta scrematura nella scelta dei collaboratori (misura questa essenziale per evitare infiltrazioni ostili).
  4. Il sostegno fornito a livello finanziario da diverse organizzazioni: fra queste la fondazione Wau Holland (figura carismatica e recentemente scomparsa del Chaos Computer Club, un’organizzazione hacker storica, votata dagli anni ’80 ad un’impostazione politica che individua nella liberazione dell’informazione una traiettoria strategica da seguire) la quale sfruttando la legislazione tedesca (che permette di non rivelare il nome di coloro che fanno donazioni) si costituisce come canale di finanziamento sicuro.
  5. La creazione di un hype molto ben elaborato sia grazie a dichiarazioni dalla forte valenza simbolica sia grazie ad una disclosure dei leaks fatta col contagocce: il risultato fino a questo momento è stato quello di aver tenuta altissima l’attenzione delle code lunghe in rete e dei media globali.
  6. Il rapporto con alcuni dei maggiori organi di informazione globale, che non svolgono “solo” una funzione di diffusione dei leaks, ma letteralmente li INFORMANO (cioè danno una forma) grazie all’opera di analisti in grado collocarli storicamente e politicamente e di scegliere con accuratezza quali notizie far emergere e a quali dare maggior rilievo. Altrimenti, chi fra il “popolo della rete” avrebbe il tempo, le capacità, le conoscenze e le risorse per scrutare nell’enorme massa di dati grezzi trafugati? È stato così per i diari di guerra iracheni ed afghani. Lo è a maggior ragione per le comunicazioni di tipo diplomatico che, come ha affermato anche Sergio Romano sul Corriere della Sera, sono il prodotto di un codice complesso, da interpretare con le giuste coordinate linguistiche e politiche. E lo sarà ancora di più al momento della disclosure dei dati sul mondo della finanza. Può sembrare una provocazione ma, da questo punto di vista, WL non fa neppure informazione: organizza dei database secondo criteri cronologici o geografici. Ma non politici. Inoltre  il rapporto con alcuni dei grandi media tradizionali riveste un altro significato: quando domenica 28 novembre, poco prima della pubblicazione dei cable, il network di WL è stato posto sotto attacco, un tweet ha confermato ciò che molti si aspettavano : «El Pais, Le Monde, Speigel, Guardian & NYT will publish many US embassy cables tonight, even if WikiLeaks goes down».
  7. Infine WL è per necessità anche le migliaia di siti che volontariamente hanno deciso di mirrorarla (ovvero di rendere pubblica ed in continuo aggiornamento una copia degli archivi di cable) dopo gli attacchi subiti nei giorni scorsi.

Se già proviamo a gettare uno sguardo d’insieme su queste prime considerazioni (potremmo aggiungerne altre sulle articolazioni di WL nei social network) ci rendiamo facilmente conto che WL sparigli le carte e scompagini la verticalità tradizionale di molti sistemi informativi mediatici nazionali ed internazionali, producendo un network che li taglia trasversalmente. Una rete fluida ed efficiente all’interno della quale esistono però indiscutibilmente nodi dal maggior peso specifico:per esempio l’attività dei mirror a cui prima facevamo riferimento è subordinata alle release che vengono fatte dal nodo centrale.

Allo stesso modo, come segnalato dal giornalista Farhad Manjoo, vive in WL una contraddizione necessaria: la sua mission, simboleggiata anche dallo slogan che campeggia sull’account del profilo twitter (“We open governements”), è quello di ottenere un’assoluta trasparenza attraverso una modalità organizzativa che prevede un livello indispensabile di segretezza. Non stiamo giocando a cercare l’ossimoro, ma semplicemente ci limitiamo a constatare che l’anonimato delle fonti non permette di comprendere quali siano le finalità che le animano. Finalità che non è detto si sovrappongano con quelle di Assange & co. E questo non è un problema facilmente ignorabile (anche per altre criticità che vedremo più avanti).

Dunque siamo di fronte anche ad una nuova forma di network mediatico. Un nuovo modo di fare giornalismo distribuito, ma non P2P. WL disintermedia il flusso di informazioni tradizionale per andare a ricreare immediatamente nuovi livelli di intermediazione con diversi centri.

I fronti caldi della guerra in rete

Ci sono altri aspetti ancora da considerare. La terra bruciata che è stata fatta attorno a WL in questa settimana ha materialmente rappresentato un’anteprima delle tensioni che da diverso tempo si stanno accumulando attorno al nodo strategico della governance globale della rete.

Sappiamo che la programmazione della strategia militare statunitense individua oggi tra i suoi diversi terreni fondamentali la rivendicazione della superiorità militare USA nel provvedere alla messa in sicurezza della rete per garantirsi un “libero accesso”  al cyberspazio, individuato come global common.

Ebbene, se la vicenda di WL ha segnato i limiti dell’amministrazione statunitense nella gestione di questo global common allo stesso tempo ha messo in rilievo come la progettualità messa in cantiere su questo versante sia in fase avanzata di elaborazione ed attuazione.

Quali segmenti del network WL sono stati colpiti con successo?

  1. La sua capacità di ricevere finanziamenti è stata messa sotto scacco dal congelamento dei conti svizzeri di Assange, dalla sospensione dei pagamenti Mastercard e Visa ed infine dalla sospensione dell’account Paypal. Proprio quest’ultima azienda dopo aver inizialmente sostenuto che WL stava violando la policy del sito è stata costretta ad ammettere che la rimozione dell’account di WL è derivata dalle pressioni del dipartimento di Stato USA.
  2. La cessazione del servizio di hosting da parte di Amazon, avvenuta su impulso di una vecchia conoscenza: il senatore Jospeh Lieberman autore della proposta di legge Internet Kill Switch.
  3. La rimozione del dominio DNS wikileaks.org (attualmente sostituito dal dominio wikileaks.ch). Certo non è la prima volta che un dominio DNS viene oscurato ma è singolare il fatto che questo sia avvenuto completamente al di fuori di qualsiasi accordo o protocollo giuridico, su un unilaterale impulso statunitense.

Quest’ultimo aspetto in particolare ricorda molto da vicino il contenuto della proposta di legge COICA, approvata all’unanimità dalla commissione giudiziaria del Senato USA, su cui vale la pena di spendere due parole. Celebrato da RIAA ed MPAA, se approvato il Combating Online Infringement and Counterfeits Act introdurrà meccanismi di regolazione della rete che potrebbero mutarne i connotati. Quali sono le sue linee guida?

a) Al dipartimento della giustizia statunitense viene affidata la lotta contro il “filesharing”: esso avrà la possibilità di perseguire qualsiasi sito web che si macchi della violazione del copyright.b)attraverso la richiesta a diverse corti federali di emettere un’ingiunzione nei confronti di un sito web, il DOJ avrebbe la possibilità di oscurare un dominio. Ciò che però risulta essere tanto innovativo quanto preoccupante in questo disegno di legge è quanto segnalato da Torrentfreak:
«If the courts then decide that a site is indeed promoting copyright infringement, the DOJ can order the domain registrar to take the domain offline. The bill is not limited to domestics offenders, but also allows the DOJ to target foreign domain owners.»

E prosegue:
«Aside from classic ‘pirate’ websites, the bill also conveniently provides an effective backdoor to take the whistleblower site Wikileaks offline, or its domain at least. After all, Wikileaks has posted thousands of files that are owned by the United States»

La “censura” di tali siti si baserà su blacklist completamente stilate dal governo USA. Inutile soffermarsi sull’arbitrarietà che le caratterizzerà.

L’entrata in vigore ed un’effettiva attuazione di tale disegno legislativo avrebbero conseguenze senza precedenti: il governo statunitense potrebbe assumere un ruolo del tutto inedito, andando a svolgere una funzione che fino a questo momento era stata esercitata esclusivamente dall’ICANN (già abbondantemente criticato durante gli ultimi 15 anni per la sua gestione di fatto in mano agli USA). Una proposta di legge con cui gli Usa si autocandidano al ruolo di idraulici della rete internet nell’aprire e chiudere i rubinetti dell’informazione con l’obbiettivo di orientarne il flusso. Qualcosa di inaccettabile in questo momento per altri attori statuali e regionali (non a caso il monito dell’ultim’ora del britannico The Economist è: “non creare un Afghanistan digitale”). Qualcosa che potrebbe voler significare a sua volta la creazione per altre macro-aree del pianeta di nuovi e separati sistemi di dominio, producendo una frammentazione di una delle infrastrutture principali della rete globale (che smetterebbe di essere tale). La stessa EFF in merito alla questione ha sottolineato che

«To recap, COICA gives the government dramatic new copyright enforcement powers, in particular the ability to make entire websites disappear from the Internet if infringement, or even links to infringement, are deemed to be “central” to the purpose of the site».

E aggiunge:

«If the United States government begins to use its control of critical DNS infrastructure to police alleged copyright infringement, it is very likely that a large percentage of the Internet will shift to alternative DNS mechanisms that are located outside the US»

La reazione statunitense è stata tutt’altro che inconsulta e nevrotica dunque, ma trova chiare linee di continuità rispetto a quella che è stata la sedimentazione di un atteggiamento verso la rete con radici che affondano in un terreno temporale non recente.
Date le consonanze tra quanto prevede il COICA e l’infoguerra scatenatasi negli ultimi giorni, ci sembra più che lecito domandarsi se la vicenda di WL non possa rappresentare anche un acceleratore per questi processi di frazionamento e militarizzazione della rete.

Quali potrebbero essere le prossime mosse ipotizzabili contro WL?

A. di Corinto afferma che «il prossimo passo sarà probabilmente quello di impedire l’indicizzazione nei motori di ricerca delle risorse web facenti capo a WL» (viene da chiedersi: ma Google e Baidu prenderanno le stesse misure?) e, aggiungiamo noi, c’è da capire come si muoveranno Facebook e Twitter, che pur non confermando l’ipotesi di escludere WL dalle loro piattaforme non l’hanno nemmeno smentita (mentre invece hanno prontamente cancellato account e pagine delle organizzazioni che hanno condotto in queste ore gli attacchi contro gli avversari di WL).

Infine altre due considerazioni.

Il blog “Scambio Etico” ha pubblicato la traduzione di un testo di Mark Pesce dove si traccia un parallelo tra la possibile evoluzione di WL ed i sistemi di filesharing. Ciò che immaginiamo voglia essere un auspicio benaugurante individua però un’altra possibile vulnerabilità di WL, forse ancora più mortale degli attacchi Ddos che la stanno colpendo.
L’organizzazione di Assange fonda il suo capitale reputazionale sull’ attendibilità e la veridicità delle informazioni che rilascia. In questo modo crea attorno a se un’aura di fiducia su cui si basano i legami fluidi che riesce ad intessere ed il suo fare società. Una dinamica molto simile a quella di grandi social network o dei sistemi P2P.
In che modo è stata combattuta la diffusione di contenuti coperti da proprietà intellettuale sulle reti di filesharing? Immettendovi materiale falso o contraffatto. Poiché le fonti di WL sono anonime e pertanto ogni singolo documento deve essere verificato nella sua autenticità, viene allora da chiedersi se un flooding di falsi ben costruiti inviati a WL (facciamo riferimento a questa categoria specifica perché lo stesso Assange ha affermato che sono centinaia le persone che inviano materiale a WL) non possa in qualche modo o ingolfare il meccanismo di pubblicazione o bypassare il meccanismo di verifica, portando ad una pubblicazione e ad una diffusione di documenti non autentici: la fiducia che WL ha creato in questo momento attorno a se verrebbe spezzata.

Ma il fronte della cyberwar presenta a sua volta giochi di luce e chiari/scuri e vede la partecipazione di numerosi attori: una reazione trasversale di utenti e comunità hacker (anche molto diverse tra di loro) ha portato un contrattacco ai servizi di intermediazione finanziaria Mastercard e Visa impedendone l’accesso. Sono state diffuse applicazioni e pagine web grazie alle quali chiunque è in grado di partecipare all’attacco contro i network che hanno ostacolato l’attività di WL. Inoltre Peter Sunde ha rilanciato (non a caso a ridosso dell’oscuramento del dominio wikileaks.org) la proposta di dare vita ad un sistema DNS distribuito, in grado di resistere alle ingerenze di governi e militari. Una proposta che a sua volta, dopo i fatti di questi giorni, potrebbe essere presa seriamente in considerazione da molti e che segnerebbe un ennesimo frazionamento di una delle strutture fondamentali che governano la rete.

Totem tecnologici e tabù del conflitto in rete

Gli effetti WL non si esauriscono qui ma giocano un ruolo devastante sul piano ideologico, segnando, a nostro modo di vedere, la fine di diverse teorie della rete, che, con questa vicenda hanno raggiunto il loro zenith toccando però allo stesso tempo un tetto di contraddizioni irreversibili. Un altro dei paradossi da aggiungere alla lista.

Primo. Proviamo ad immaginare la vicenda di WL da una prospettiva ribaltata.
Assange è un dissidente cinese che rivela al mondo documenti interni e che per questo motivo viene arrestato ed incarcerato. Alle consuete prolusioni su internet come strumento esportatore di democrazia si affianca la nomina a nobel per la pace in un tempo massimo di 2 giorni, a cui si aggiunge un tacito senso di gratitudine per aver fornito strumenti ed informazioni attraverso cui rimodellare ed indebolire in termini di opinione pubblica la proiezione internazionale dell’immagine cinese.
È una prospettiva assolutamente simmetrica a ciò che accade in queste ore. E non possiamo negare di provare un sottile piacere nel constatare come i professorini da blog che si riempiono la bocca di paroloni come “disintermediazione della macchina del fango”, dopo aver incensato per anni le figure di Anna Politkovskaja e Yoani Sanchez, possono fieramente annoverare tra le fila dei combattenti democratici per la “libertà di espressione”  anche Vladimir Putin, mentre dall’altra parte della barricata sta Barack Obama, l’uomo per cui la rete era stata uno dei propulsori fondamentali nella corsa alla Casa Bianca. Non solo grazie a questa aveva messo in piedi la più vasta operazione di marketing politico mai vista fino a quel momento, non solo era stato in grado di mobilitare i movimenti sociali, dar vita ad una copiosa raccolta di fondi ed far tornare al voto ampi strati di popolazione in un contesto difficile come quello statunitense, ma anche e soprattutto aveva impresso nell’immaginario collettivo il marchio della rete e dell’open governement come qualcosa di simbiotico ad un change mai avveratosi.

Secondo. Il comportamento tenuto da Amazon e dalle altri grandi multinazionali statunitensi nel tentativo di depotenziare il network di WL e le sue ramificazioni è un colpo da cui difficilmente potranno riprendersi i profeti dell’ottimismo tecno-determinista e neo-positivista. Il paradigma squisitamente liberale a cui per anni hanno fatto riferimento personaggi come Negroponte ne esce con le ossa rotte: affermazioni come «Le forze combinate della tecnologia e della natura umana saranno alla fine più efficaci ai fini della pluralità dell’informazione che non tutte le leggi del Congresso» , il richiamo ad una diffusione dei principi democratici attraverso lo sviluppo delle telecomunicazioni elettroniche e il consumo di prodotti hi-tech o la messa in scacco della censura grazie al “potere benefico” del canale di comunicazione globale possono finalmente essere riposte nel dimenticatoio, dimostratosi in modo definitivo che la tecnologia digitale non è affatto «una forza naturale che porta la gente verso una maggior armonia a livello globale».

Terzo. Il sogno neo-illuminista di matrice roussoviana di una democrazia di individui attivatasi tra le pieghe di un’infrastruttura anarchica muore miseramente proprio mentre afferra uno dei suoi grandi obbiettivi: la trasparenza del potere rispetto al sociale. La coperta è troppo corta: se si tira da una parte ci si scopre dall’altra ed una volta di più gli individui risultano essere delle particelle roteanti attorno alle strutture di intermediazione (dell’informazione e della politica) che li determinano.

Quarto. È ormai fuori di discussione che con sempre maggior urgenza si imponga una riflessione seria sul concetto di bene comune applicato alla rete. In un contesto come quello che sta prendendo forma in questi giorni esso non può darsi né come diritto fondamentale né come qualcosa di già presente nei rapporti materiali che plasmano internet. Semplicemente lo si può immaginare come terreno di conflitto. E come tale agirlo.

Agire le fratture

Molti in questi giorni hanno stappato champagne per celebrare la fine del “vecchio mondo” senza comprendere che all’interno degli sconvolgimenti prodotti da WL si stanno muovendo attori che di questo club fanno parte a pieno titolo e che faranno a loro volta un uso assolutamente tradizionale (ma non per questo meno efficace) dei leaks in termini di manipolazione dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale. Oltre al già citato Putin non possiamo dimenticare Netanyahu che ha ringraziato WL levandosi il cappello (e facendo pure un bell’inchino con piroetta) per le rivelazioni sull’Iran: un altro tassello nella costruzione del frame politico che legittima l’aggressività israeliana in Medio Oriente.

Questo che cosa significa? Significa che le fratture prodotte da WL non vanno affatto a senso unico come vorrebbero molti commentatori, ma devono essere immaginate, organizzate, reindirizzate in frame di senso partigiano e costituite in soggetto.

Facciamo un controesempio: che effetti avrebbe potuto avere su scala globale una riappropriazione di senso critica di ipotetici “Iraqi War Logs” pubblicati nel 2003 all’apice delle mobilitazioni “No War” da parte delle strutture mediali di movimento, accompagnata da un appropriato protagonismo di piazza? La pressione sul giornalismo narcotizzato dell’era Bush e sulle stesse autorità sarebbe stata insostenibile.

Cesura e continuità, fratture e frammentazioni, vecchi e nuovi attori: un crogiolo incandescente di contraddizioni al di fuori del quale non si può stare. Se anche il quadro di un vecchio ordine va in pezzi o viene scheggiato, i frammenti che cadranno a terra non ne costituiranno immediatamente uno nuovo. Sta a noi raccoglierli prima che lo faccia qualcun’ altro. O così oppure la metonimia di WL potrebbe assumere un altro significato ancora. Quello di un nuovo spettacolare format globale da guardare dietro lo schermo della vostra televisione al plasma o del vostro netbook. E cambia poco se retwittate info o partecipate al televoto: conduce Julian Assange mentre i potenti della terra si scannano tra di loro.

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Il nuovo che avanza.

Mi ha fatto un enorme piacere leggere questo post di Retroguard1a e questo di Ladylosca, non solo per i ricordi (non troppo lontani) che hanno potuto ridestare in me ma soprattutto per la bellezza di leggere ancora una volta, mentre il mondo attorno a me avvizzisce e decade (oggi fase buddhista), la freschezza di certe emozioni e l’universo di sensazioni che accompagna la lotta e il desiderio di cambiare le cose.

Tutto questo mio godimento è dovuto al fatto che il web, la tv e i mass media in generale caldeggiano invece costantemente merda spacciata per oro, consigli e saggezza immensa di gente che non frequenta più l’università da tempo immemore, oppure la frequenta ma non va ad occuparla per snobismo ossia perchè ha il terrore di buttarsi nella mischia e confrontarsi sul serio, gente vecchia a livello anagrafico ma più spesso a livello mentale, immersa nel sistema produci-consuma-crepa che non ha tempo da perdere con questi “strumentalizzati”, “che non hanno voglia di studiare” e “vogliono farsi solo qualche giorno di vacanza in più”.

Ovunque, come è costume in questo Paese, spunta il genio che ha capito tutto, che dà degli imbecilli o degli ignoranti a 400.000 persone in piazza, per intenderci quello che io-avrei-scioperato-per-ben-altro o quello che gli-scontri/occupazioni/blocco della didattica-non-sono-il-modo-giusto (mentre stare seduti sul divano a guardare la tv lo è certamente).

In tutto ciò ovviamente il novello Einstein non si può esimere dal riproporre per l’ennesima volta la ormai biblica citazione pasoliniana sul proletariato dei poliziotti oppure l’opinione di Peppino Impastato sul carattere omologante della cultura di ateneo, tutte idee bellissime per carità, ma magari UN PO’ datate.

Dei ragazzi e delle ragazze che scendono in piazza oggi contro il ddl Gelmini non vi era neanche il minimo sentore in quei tempi bui senza pleistescion e amicidimaria, non vi era probabilmente neanche la traccia dell’ovulo e dello spermatozoo che li avrebbe generati: 35 anni sono tanti e nel frattempo accadono troppe cose, ad esempio il 3+2 all’università che la mia generazione di ultratrentenni ha accolto senza battere ciglio con il sorriso oppiaceo sulle labbra.

In questi giorni mi è persino capitato di leggere articoli che volevano essere di seria critica al movimento studentesco ma finivano col diventare comici (consiglio su tutti questo esilarante delirio) o con l’avere effetti grotteschi e fuori luogo.

Insomma, si sono scatenati tutti in piena libertà, come la famosa democrazia alla Maurizio Costanzo ci ha insegnato (tutti possono dire quello che vogliono e poi fare la passerella) e come di logica la noia ha regnato sovrana su tutte le ovvietà che si potevano tirare fuori (e sono state tante).

Resta il fatto che mezzo milione di persone non sono proprio uno scherzetto, che gli studenti, i ricercatori e i dottorandi sono teste pensanti quanto o più di quella del criticone, quindi potrebbe valere che i discorsi che ti sei fatto anche tu, o genio che straparli, sui baroni o sull’opportunità di comprare tale libro anziché fotocopiarne un altro o sulla necessità di studiare tale esame di tot crediti così anziché cosà, col contenuto X anziché col contenuto Y o sull’utilità del pezzo di carta possano magari averli fatti anche loro senza l’aiuto dei neuroni di nessuno.

Oltretutto chi scende in piazza oggi ha una ragione in più (oltre al fatto di non essere rimasto con le mani in mano) rispetto al Leonardo da Vinci di turno e cioè l’età, la voglia di costruire un futuro che probabilmente lo scopritore dell’acqua calda chiama invece “passato” e per cui prova solo invidia e rimpianti.

Quando eravamo bambine io e mia sorella, per far capire che l’altra sbagliava su tutta la linea e che doveva appellarsi al buon senso usavamo il solito paragone dell’orologio: “Ma se il tuo orologio fa le 7 e mezza e quello degli altri, di tutti gli altri, invece fa le 8 e mezza tu cosa pensi? Che è il tuo orologio quello sbagliato o quello degli altri?”

Ecco, ogni tanto riconoscere con umiltà che si è rimasti indietro rispetto ai tempi e ai giovani che ci hanno succeduto e stanno facendo ciò che avremmo dovuto fare noi poveri pusillanimi è un buon esercizio.

Anche prendere posizione e decidere ogni tanto di tentare di capire le ragioni del “popolo” anziché stare sempre a sputargli addosso dandogli del qualunquista è un ottimo allenamento per comprendere che, come sostiene la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1793, “una generazione non può assoggettare alle sue leggi le generazioni future” e farsi infine una ragione che il nostro tempo è scaduto.

Per fortuna.

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Tristezza

Chiedere in un blog che si professa anarchico ma che è ultradogmatico di declinare il linguaggio talvolta anche al femminile anzichè sempre e solo al maschile (“fratelli!”) e sentirsi dare la risposta che segue è un’esperienza nuova  e tutt’altro che piacevole:

“Per quanto ci riguarda, il problema non si pone nella maniera più assoluta. L’anarchia non contempla divisioni e differenze, neanche tra uomo e donna. Nella tua proposta c’è implicitamente una divisione che noi non concepiamo. E’ una questione di coscienza e di concezione dell’unità. Se esiste davvero una parità tra uomo e donna -come noi crediamo- non possono esistere dualismi che vengono evidenziati con questioni di tipo verbale. Forse le tue amiche di social network non hanno in mente una vera parità, bensì una precisa quanto inconscia volontà di distinzione tra sessi. Noi no.”

Che profonda tristezza..

Mi sento veramente depressa.

Venire a sapere da un fanfarone cattedratico che l’anarchia non contempla le differenze mi sta buttando giù pesantemente.

Quel “noi” per di più mi sta facendo venire l’orticaria.

E mi fa anche venire in mente che tutta la specie umana dovrebbe accompagnarsi spesso e volentieri da altre specie, avere almeno un animale come amico nella propria vita, qualcuno che ti insegni subito la parità di diritti nella differenza, la bellezza dei dualismi e l’ “unità” costruita senza “concezione” di una cippa, solo con il volersi bene.

E ovviamente, oltre a questo, mi fa promettere di evitare i parrucconi come la morte, soprattutto quelli che si innalzano al di sopra del linguaggio e delle differenze create dalla Natura in nome di qualunque bellissima idea.

Evitarli perchè altrimenti ci si ritrova come me in questo momento, immersi nell’amarezza più profonda.

Le sorelle insegnano che ci si può sentire “arrivati” senza esserlo veramente:

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25 novembre: nostalgia canaglia.


Era il 24 novembre 2007. Eravamo a Roma. Eravamo 100.000.

Ovviamente pioveva, ma come in tutte le manifestazioni a cui  ho partecipato io, tant’è che mi ricordo di un famoso 8 marzo in cui ero a letto con la febbre e le sorelle mi hanno chiamano ridendo per dirmi che c’era un gran sole, causa mia assenza (come si evince me la sono legata al dito).

Quel giorno di novembre ho visto veramente di tutto, e successivamente c’è stata anche tanta polemica per un solo particolare: le solite note e ignote che cercavano pubblicità e l’hanno avuta.

Ho visto donne di tanti colori, da tutto il paese e anche da tutto il mondo. Ho visto ragazze , mamme e nonne che percorrevano il corteo all’incontrario con le lacrime agli occhi per l’emozione. Ho visto bambine e bambini, uomini strambi e colorati. Ho visto unità e separatismi, ho visto tanta tanta voglia di stare insieme, lo stupore di ritrovarsi e di contarsi, la gioia di potersi esprimere in libertà. Ho visto orgoglio omosessuale, diversità esibite, generazioni a confronto e mentre reggevo lo striscione ho visto anche i soliti fascistelli infiltrati che sembravano cacchine di capra in un prato fiorito.

La finisco qui con l’Amarcord prima di arrivare al grunge anni ’90 perchè quella manifestazione non siamo più riuscite a replicarla e me ne dispiace, non voglio fare polemiche ma le donne spesso hanno dei tempi TROPPO biblici e io non sono Matusalemme, quantomeno non ancora (confido sempre nel potere dell’autosuggestione).

Eppure ce ne sarebbe veramente bisogno.

Basta leggere Bollettino di guerra o ascoltare i racconti delle altre sorelle per sapere che la violenza sulle donne non accenna a diminuire, anzi, diremmo piuttosto il contrario.

Ho amiche che hanno subito molestie all’università o sul posto di lavoro, maltrattamenti dal compagno, vessazioni di ogni tipo per il solo fatto di essere donne, perfino licenziamenti a causa della maternità.

Perchè non ci possiamo limitare allo stupro e al femminicidio quando parliamo di violenza sulle donne, questo in cui siamo inseriti è un sistema profondamente malato che sfoga sui soggetti cosiddetti “deboli” e sul genere femminile tutta la sua violenza partendo da un sostrato culturale che già di per se è patriarcale.

Ci sarebbe bisogno di organizzarsi e mobilizzarsi in tempi come questi, dove gli omicidi e le violenze sulle donne diventano mediatici solo se fa comodo, dove vengono attaccati i consultori e la libera scelta delle donne, dove si strombazza la legge antistalking ma nel frattempo si fanno chiudere le case d’accoglienza, dove i soldi per le pari opportunità spariscono e il sessismo impera ovunque e a tutti i livelli.

Perchè è di questo che parliamo principalmente, della volontà e del desiderio di cambiare la società, la nostra, dominata dal berlusconismo più becero ma non solo da 14 anni come si vuol far credere, il lavaggio del cervello è partito molto molto tempo prima.

Si dice che questo governo cadrà molto presto, per noi non ha importanza, perchè l’oggettizzazione della figura femminile c’era prima che Berlusconi prendesse il potere e ci sarà anche dopo. Per poter distruggere questo sistema di cose non basterà un governo nuovo, ma servirà combattere ancora e ancora questi modelli sbagliati: lo stupro spacciato per sesso, il carrierismo confuso con il lavoro, il tettaculismo come realizzazione di sé.

Avremmo bisogno di ritrovarci tutte/i insieme in piazza, riunire in un unico grande corteo tutti i flescmòb e gli eventi feisbucchiani, farci vedere e sentire, contarci, annusarci, sentirci come forza e come movimento. Non voglio recriminare sul fatto che questo 25 novembre poteva essere la giusta occasione per farlo.

Ci sono state, ci sono e ci saranno ancora tantissime idee e progetti che ci riguardano in questi giorni. Questa iniziativa, ad esempio, viene dritta dalle sorelle di Femminismo a Sud, la sostengo e la condivido come una piccola parte di quella rete solidale delle donne femministe e disertori che vivo tutti i giorni e che ormai è una realtà meravigliosa.

In attesa, e spero che non sarà troppo lunga, di scendere in quella grande piazza di cui farneticavo, perchè siamo noi stesse le prime ad avere bisogno di noi, a cercare la sorellanza e praticarla, sostenerci a vicenda, condividere e condividersi, rispecchiarsi nell’altra e vedersi nei propri sogni e bisogni, desiderare l’unità nella differenza.

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Buon appetito! Ne avete bisogno.

Oggi finalmente un ritorno alle mie ricette di economia anti-domestica con un ingrediente che ormai è diventato la base delle nostre vite oltre che di facile reperibilità, economico ed onnipresente in ogni società che si rispetti: la fica.

foto da http://riotclitshave.com/

La fica, come tutti sappiamo, è stata utilizzata fin dai tempi più antichi in vari modi e per vari scopi, essendosi sempre rivelata una materia prima di grande adattabilità e durata, dagli stupri di guerra ai matrimoni esogamici.

Non ne analizzeremo la sua storia (peraltro lunghissima) in questo blog per ovvi motivi di spazio e neppure ne ripercorreremo le tappe più importanti ma ci limiteremo a dare qualche ricetta facile facile che, in questi tempi dove tutti andiamo di corsa, e non si sa manco bene dove, possono sempre tornare utili.

Procuratevi quindi della fica, possibilmente non ancora matura, con il suo contorno di donna, in un harem, alle scuole superiori, in un occupazione all’università, in un locale dove fanno musica clubbing o se proprio non avete altro modo, compratela.

Spelatela per bene perchè in questi ultimi anni si è scoperto che i peli non piacciono abbastanza per essere apprezzati da tutti sia a causa della sensazione sgradevole una volta ingeriti sia perchè non lasciano quel senso di freschezza, o se volete, di pedofilia. Nel caso il contorno, ossia la donna, dovesse opporre resistenza, abbattetela come si usa fare.

La fica all’affissione:

Tagliate la fica a fette, alte più o meno mezzo centimetro. Nel frattempo avrete fatto scaldare uno studio fotografico a fiamma vivace per un paio di minuti, portateci la fica e spolverate con un fotografo di moda possibilmente misogino o sessista. Girate la fica ad ogni posa e infine depositatela su tutte le affissioni pubblicitarie delle nostre città per vendere qualunque prodotto, dall’impianto fotovoltaico alla linea di navi. Irrorate con un filo di maschilismo gratuito come slogan et voilà! Gustatevela quando portate i vostri figli a scuola o quando siete fermi al semaforo con la sinusite.

Polpette di fica televisiva:

Spelate la fica come già consigliato, arrostitela da un agente di modelle e schiacciatela con una forchetta o con trent’anni di Merdaset. Mettetela in un contenitore televisivo, dal programma di calcio ai reality show in prima serata e aggiungete volgarità, stacchetti inutili, sorrisi ebeti, silicone in quantità e un ciuffo di reggiseni push up. Con quest’impasto fate delle polpette da distribuire su tutto il palinsesto e cuocetele per 20 minuti in una salsa di rincoglionimento mediatico che avrete preparato a parte con i continui servizi da Avetrana o le inchieste sui pacchi di Striscia l’Immondizia e….che bontà!

Sformato di fica e politica:

Tagliate la fica a cubetti e la politica a fettine post Tangentopoli. Fate ricoprire alla fica per 15 minuti ruoli di cui non sa nulla nessuno per non dare nell’occhio, oppure dissalatela se vi sputtana o ce l’ha con voi. Nel frattempo, mentre abusate di fica minorenne, avrete già preparato un soffritto di vostre liste con i soliti 4 tromboni collusi con la mafia, gli imprenditori corrotti che si portano appresso e il loro bacino di voti. Unite il fritto di soliti noti con la fica e passate l’insieme nel tritatutto delle elezioni politiche. Versate nel consiglio dei ministri, sui giornali o in qualche altro sistema di potere e fate cuocere per molti anni mentre il nulla avanza, la gente protesta e i poliziotti manganellano. Servite caldo.

Involtini di fica giornalistica:

Per quanto riguarda la preparazione dell’ingrediente principale la ricetta da seguire è molto simile a quella della fica all’affissione a cui, dopo le foto, aggiungerete come farcitura un composto di pseudo-intellettuali di sinistra, articoli anti sessisti ma anche un po’ conformisti della Marzano e della Zanardo, blogger piddini di dubbio gusto (nonchè autori di diffide ad Indymedia) e grandi pensatori maschilisti, moralisti a palate, meglio se ancora incazzati con Marrazzo, e finti oppositori del regime. Versate tutto nella fica, arrotolatela e fermatela con uno stuzzicadenti. Infine servite nelle edicole con i soldi dello Stato facendo finta di essere giornalisti. A piacere, potete aggiungere inserti con fica anoressica per spacciare prodotti alle altre fiche.

Fica ai finti creativi:

Prendete la fica e tagliatela a fette spesse qualche millimetro. Disponetene uno strato infinito davanti ad un qualunque finto creativo in crisi di idee da quando non gliela danno più e fate ricoprire le fette di fica da ogni sorta di stronzata gigantesca inventata nel brainstorming da questi imbecilli. Condite con qualunque oggetto da vendere e servite freddo in tv, nei giornali, nei video, nei siti web, sui calendari, ovunque ci sia qualcosa da commerciare, dalla bara al cesso chimico e in qualunque stile, posizione o modalità vi venga in mente. Sbizzarritevi con la fantasia e sentirete che squisitezza!

Queste sono le mie ricette a base di fica, come vedete facili, semplici e veloci da preparare, ma la fica è un ingrediente così semplice e duttile da poter essere usato in mille maniere diverse e per ogni fine, dalla guerra alla religione al capitalismo. Per cui non limitatevi a questi semplici spunti che vi ho dato, sperimentate nuove idee e fatemi sapere il risultato!

Nel prossimo post: Come rendere i maritozzi con la panna più digeribili grazie all’idraulico liquido. Non perdetevelo.

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Gente tranquilla

Siamo alle solite: silenzio mediatico TOTALE sull’omicidio di una ragazzina  di 13 anni e il ferimento della sorellina da parte del padre, maresciallo dei carabinieri. Che poi si è suicidato. E quando ti suicidi dopo aver ucciso, si sa, o sei pazzo o sei malato. Se invece campi dopo aver ucciso ti uccidiamo noi nelle carceri italiane.

Eppure nei vari trafiletti o articoletti locali (perchè questa è la rilevanza che è stata data alla notizia) l’uomo viene considerato “irreprensibile” da tutti i suoi conoscenti, “un uomo tutto d’un pezzo”.

Si cercano le cause, perchè ci deve per forza essere un motivo che ha scatenato “il folle gesto” di quest’uomo, mica puoi averlo fatto perchè sei uno stronzo egoista no? Ma pare che non fosse neanche folle, non soffriva di schizofrenia, non aveva neppure un accenno di depressione, né pre né post parto. Nulla di nulla.

Aveva solo litigato con la figlia perchè non voleva che usasse facebook.

Ecco di chi è la colpa, di facebook (ma perchè non ci ho pensato prima?) e come dice quest’articolo, non possiamo dargli torto. Insomma, è stato facebook a uccidere l’adolescente e ferire l’altra, mò sono cazzi di Zuckerberg.

Oppure no, come sostiene invece quel simpaticone di Paolo Liguori, la colpa è dell’ignoto che generano i figli coi loro segreti. L’ignoto, sì, è stato l’ignoto. O i segreti. O i figli. Ma sì, diciamo pure che se la vanno anche un po’ a cercare ‘ste tredicenni.

Presto ci sarà l’autopsia delle due vittime (ma non erano un assassino e una vittima?) e forse troveranno la scatola nera che ci spiegherà tutto.

Perchè-perchè abbiamo bisogno di trovare il perchè, non di togliere le armi dalle mani di questi padri padroni che non sopportano che le figlie gli disobbediscano. Sono molto bravi ad educare, questi genitori con la pistola, ma non amano che li si contraddica troppo, sennò ti ammazzano senza troppi complimenti.

Complimenti che invece non lesinerei ai media: il tg1 ieri sera ha dato la notizia come se stesse raccontando un peccato, 10 secondi e anche un po’ sottovoce, roba che io ci mettevo molto più tempo a coglionare il prete quando andavo a confessarmi, sennò sgamava che gli stavo mentendo.

Da mettere assieme a tutti gli altri sciacalli che pasteggiano sui corpi di altre due ragazzine come Sarah Scazzi e Ruby Rubacuori. In fondo questa notizia non è funzionale alla pruriginosità, anzi sarebbe deleterio per tutti quelli che sono complici omertosi dell’Arma (toh, giusto ieri non era la festa degli armamenti vari? Ma quante belle baionette madamadorè!), della Polizia e di tutta quella gente che ha fatto dell’autorità, della repressione e delle pallottole un business populista e fascista. Quindi possiamo anche CENSURARLA questa notizia, in fondo è morta solo un’altra ragazzina, tanto nessuno se ne accorgerà.

“Quanta obbedienza, quanta osservanza,
Quella misura che si deve ottenere
Tra le pareti che ingoiano violenza
Così invisibile che non vuoi sapere.

L’intransigenza, l’intolleranza,
Servite a tavola son pugni sul cuore
Di chi ti ascolta e poi soffoca in silenzio
Vite represse incorniciate d’onore.”

da “Gente tranquilla”– Subsonica

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Non à l’excision!

Foto da http://riotclitshave.com/

Mentre mezza Italia si occupa di rituali africani legati indissolubilmente alla minchia avvizzita di un vecchio premier bavoso con problemi di prostata, mentre tra risate sguaiate e volgari si citano espressioni sconosciute attribuite al continente-nero-paraponziponzipò che definiscono il sesso anale violento, mentre gli italioti occidentalisti si beano di ignoranza e pregiudizi sull’Africa che ormai per tutti è la Frica (visto che la parola “fica” viene cammuffata allora…FICA-FICA-FICA-FICA-FICA), io invece mi imbatto casualmente in cose belle a me sconosciute che vengono proprio da quella parte di mondo, più precisamente dalla Costa d’Avorio (Paese d’origine) e dal Mali, Paese dove questo artista ha deciso di esiliarsi volontariamente.

Tiken Jah Fakoly canta contro i leader africani manovrati dalla politica occidentale, si fa portatore di una voglia di rivoluzione nuova, dà voce agli strati più bassi della società ivoriana, agli oppressi e ai discriminati dalle politiche razziali. Consapevole che la musica sia uno strumento universale, si esprime in maniera diretta e semplice con strumenti che attingono alla tradizione dell’Africa Occidentale.

Guardando il video su youtube mi rendo conto che i commenti sono sicuramente molto meno numerosi rispetto a certi video che circolano negli stessi Paesi e che possiamo tranquillamente definire la copia afro di certi video neomelodici napoletani, segno che in qualunque parte del mondo ti trovi la maggioranza è conquistata dagli imbecilli e gli innovatori sono sempre i soliti 4 gatti.

Questo pezzo contro le mutilazioni genitali femminili si intitola “Non à l’excision”, mi vergogno anche a farne una traduzione poiché il video spiega benissimo tutto. Il testo lo trovate qui. Buon ascolto.

http://www.youtube.com/watch?v=95rXGts_VeM&feature=fvst

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