Feminist Blog Camp, arrivo!!!

Mmmm..la valigia cellò.

Il saccoapelo in vero pelo umano (il mio) cellò.

La prolunga elettrica cellò. La sorellanza pure.

La sottogonna di pizzo e crinolina  cellò. Credo di aver messo tutto.

Io ci sono e ci saranno tantissime altre persone disposte a condividere questa tre giorni antisessista. Quindi…si parte!

Il Feminist Blog Camp (Torino 28-29-30 ottobre all’Askatasuna) è un evento totalmente gratuito, autofinanziato, autogestito ed aperto a tutti. A chiunque abbia uno spazio internet e si occupi di pratiche antisessiste sul web. A tutti coloro che vorranno seguire i workshop e i laboratori proposti  con l’intento di condividere i saperi.

L’idea del Camp prosegue la linea tracciata dal primo Fem Camp di Bologna nel 2007 ed è la risposta alle necessità di vivere la tecnologia in maniera condivisa, partendo dalle pratiche differenti con cui ci confrontiamo nel web, per tentare di agire in maniera globale.

Negli anni più recenti molte donne femministe e molti uomini disertori del patriarcato hanno cominciato a popolare la rete, in maniera sempre crescente e hanno intessuto relazioni per affrontare battaglie comuni.

Abbiamo deciso quindi di mettere insieme questi nostri saperi, imparando l’uno dall’altro e trasmettendoci le conoscenze necessarie per vivere i nostri spazi e le nostre esigenze di cambiamento.

Aderiscono al Feminist Blog Camp più di 100 blog e siti; durante la tre giorni si potrà assistere a seminari, proiezioni, dibattiti, musica, arte, spettacoli, reading, cultura e molto altro; le tematiche trattate varieranno nei diversi workshop: dai diritti digitali al subvertising, dal controllo dei corpi alla libera sessualità, dalle narrazioni personali alle pratiche sociali e politiche.

Saremo ospiti del CSOA Askatasuna che metterà a disposizione oltre alle sale per i laboratori anche uno spazio/ludoteca per i bambini gestito dai partecipanti al Camp, uno spazio per dormire con il sacco a pelo e la cucina in cui mangeremo vegetariano: 3 giorni di totale autogestione all’insegna della massima condivisione.

Per altre informazioni il blog di riferimento

Il wiki in cui si possono seguire i lavori passo dopo passo

Il programma

Banner, loghi, grafiche

Call in inglese

Numero di telefono per giornalisti e giornaliste 3425510325 (nazionale) 3487125832 (Torino)

Mandaci un contributo per le spese di autofinanziamento su conto postepay: Intestare a Camilla Rebora4023 6006 0997 8681

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Post preventivo

E’ successa questa cosa.

Una cosa grave secondo me: un giornale molto importante entra nel tuo piccolo blog, prende una frase a caso e la pubblica sostenendo che l’hai scritta su twitter.

Poi ci mettono il tuo nick oppure lo cambiano un po’ e l’operazione tweet falso viene addirittura ripetuta per ben 2 volte.

Questo giornale ha una tiratura molto alta e immagino avrà anche molti lettori che prenderanno come oro colato tutto ciò che scrivono in totale buona fede. Del resto perchè dubitarne, l’ha scritto il Quotidiano dei Quotidiani quindi è vero.

Mi sto sinceramente preoccupando, in questo blog la zia Jo ha prodotto veramente una caterva di stronzate e di frasi che estratte dai post non hanno più una valenza ironica e sarcastica ma possono essere prese per cose serie e anche gravi.

A questo punto, memore che prevenire è meglio che curare e che con la dolce euchessina si ottiene tutto, mi tocca fare un post preventivo. Eccolo in tutto il suo splendore:

Ebbene, vi do il permesso di pubblicarlo e di scrivere che non si trova nel mio blog ma l’ho twittato o scritto su facebook o su un forum pubblico, sì lo so che non è vero ma lo sapremo solo noi anche perchè da miserabile non posso mica fare una guerra ad un colosso editoriale e sostenere che non è così e l’avete estrapolato alla cazzo.

Mi auguro solo che ne facciate buon uso. La zia Jo

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Il sottopassaggio di Moju

Il giovedì sera in centro Sardegna non c’è granché da fare. Certo, 3 femministe autorganizzatissime-maancheno potrebbero sempre finire al bar a giocare a scopone. Ma mica tutte le sere, tutte le sere proprio non è il caso. E allora si può anche passare dalla tipografa solidale in quel paesino a ritirare i manifesti di Moju Manuli, mentre gli indigeni passano il tempo a chiedersi chi cazzo siano quelle tre tipe assurde e ti fanno le radiografie sperando che siano venute bene pure quelle oltre ai manifesti. Poi più nulla, un buco le inghiotte in una casa di secoli tra gatte e materiale edile per la ristrutturazione. Forse avranno cenato, forse avranno ballato, forse si saranno unte per il sabba, chi lo sa, forse avranno parlato della casa cantiere e del cantiere che è la loro vita, tutta da costruire. Ma eccole, le hanno viste di nuovo, felpe nere con cappuccio, scopa regolabile, secchio con la colla, manifesti, anzi no, non le hanno viste affatto ma loro sì che hanno visto gli sbirri e non era cosa da quella parte che l’ultima volta le hanno tenute 1 ora e mezza e hanno chiamato 3 pantere di rinforzo per quanto erano pericolose.

1° TENTATIVO

Un cartello stradale meraviglioso e visibilissimo da ogni dove, il cane che latra, ma secondo me il padrone del podere esce e ci impallina come tordi e la colla non basterà mai, maledetta scopa di plastica poi CRAC..il manifesto si rompe e allora si accartoccia, addio 5 euro ma forse si può ancora recuperare.

2° TENTATIVO

Il sottopassaggio. Qua terrà, terrà per forza, se si fermano gli sbirri dico che sto male, dai con quella scopa, maledetta non terrà mai. NOOO poi CRAC e STRAAP e questa volta il manifesto si rompe irrimediabilmente, 5 euro AUTOFINANZIATI proprio buttati nel cesso che peccato ma non possiamo tornarcene a letto così, fallite e con l’adrenalina in corpo.

Poi di nuovo scompaiono, forse stanno cambiando la scopa, quella gran bastarda, forse hanno rinunciato o stanno progettando nuove azioni. Mah.

3° TENTATIVO

Stessa notte. Sempre il sottopassaggio. Questa volta è quella giusta: colla, manifesto, colla, colla, colla. Eccolo. È storto ma c’è, foto e ancora foto. Chissà domani che faccia farà la gente quando lo vedrà, si fermeranno ad immortalarlo ahahah. E lo faremo anche noi, speriamo che non piova e non scivoli via.

IL GIORNO DOPO

Meglio di Banksy ma più con le pezze al culo. Presso Strada Statale 129 bivio con la S.S.131, zona Birori/Macomer.

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L’altra opzione

Esiste sempre un’altra opzione, quella che non avresti mai preso in considerazione e che non avresti mai detto sarebbe capitata in sorte proprio a te.

Perché ciò che hai sempre immaginato fosse vero per te era la vita di tutti quanti: il marito, i figli, la casa, la macchina.

E invece hai scelto l’opzione opposta e nessuno ha capito che stavi prendendo un altra strada, neppure tu.

Eppure hai passato una vita a fare cose di cui non ti importava nulla e tu ci sei sempre stata male, ci hai messo proprio tanti e tanti anni a capire la differenza tra i desideri indotti e i tuoi desideri, quelli che riguardano te e nessun altro.

E così è stato e una mattina ti sei seduta per terra, nuda, e hai cominciato a tirare fuori una radice da dentro te stessa, dalla tua bocca, che partiva dalle tue viscere.

Ti sei guardata allo specchio e hai visto una donna felice che ha solo bisogno di  ritrovarsi.

E quella radice sembra non finire mai.

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Il paese di Tumore

Tutto è cominciato così, come se niente fosse, diversi anni fa.

Prima uno, poi due, poi in numero sempre crescente, uno dopo l’altro, nel silenzio generale.

La gente che ha un tumore oggi nel paesino non si conta più.

Ogni tanto il suono di una campana a morto per avvisare i vivi che Tizio o Caio non ci sono più.

E sono di tutte le età queste persone che vengono consumate dal male, giovani, vecchi, ormai non ci si raccapezza.

Eppure prima si stava quasi tutti in salute: certo, qualche volta capitava che a qualcuno venisse un cancro ma erano casi rari e spesso e volentieri il frutto di vite dissolute, di ubriaconi e fumatori che avevano abusato del proprio corpo.

Ma adesso no, adesso è diverso, adesso son tanti, sono troppi e non si capisce quale possa essere la causa.

In una terra come la Sardegna piena di centenari poi..

Alcuni dicono che sia l’acqua, quella del rubinetto o quella del fiume, altri accusano quella fabbrica lì, sì quella che esporta anche nel continente e che ha monopolizzato il lavoro in questa zona.

Altri ancora danno la colpa ai fertilizzanti e ai prodotti chimici utilizzati in gran quantità nella Valle fertile per produrre tutte quelle verdure e quella frutta per cui sono tanto famose le terre di queste parti.

E no, non c’è nemmeno un poligono militare, com’è successo a Quirra..

Tutte illazioni dette a mezza bocca, tra paesani, e i turisti ignari che prendono casa qui e vanno a farsi un po’ di mare mica lo sanno il perché di tutte quelle campane a morto, dei funerali in gran numero, mica lo sanno del tumore che divora gli abitanti.

Nessuno si è mosso per chiedere spiegazioni, per aprire inchieste, indagini, per capire qualche cosa.

C’è la stessa solita immobilità che regna in quasi tutti i piccoli paesini di quest’isola e un senso di strana, cupa rassegnazione che ci avvolge tutti.

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L’omino bianco

Ah, quei buoni e bei consigli della zia Jo, un po’ ne sentivo la mancanza.

Mi è giunta all’orecchio la voce che nei prossimi giorni il papa andrà in Germania e fin qui, ognuno è padronissimo di andare un po’ dove cacchio gli pare. Purtroppo la notizia della visita papale NON sta facendo il giro dei media italiani anche se a una prima occhiata potrebbe sembrare diversamente: puah, la solita censura, nasconderci questo fondamentale avvenimento per la vita di tutti noi è proprio un colpo basso!

Ad agosto era stato in Spagna, solite cose e un po’ di noia: polizia che manganella i manifestanti, sprechi di milioni di euro, filippiche contro i gay e l’aborto. Vabbè, chedduepalle.

Secondo me il papa dovrebbe occuparsi anche di qualcos altro, e mica sempre e solo degli stessi argomenti: ho cercato in giro e ho scoperto che ci siamo veramente ridotti all’osso sui temi che non ha trattato finora, praticamente ha parlato di qualunque cosa fuorché di ciò di cui si dovrebbe occupare un papa, ossia di questioni spirituali.

Vado quindi a suggerire (modestamente, com’è nel mio carattere compito) qualche argomento per i prossimi discorsi ai papa boys o alle papi girls:

-La meccanica dei fluidi. Trovo che non occuparsi di questo affascinante universo sia una grave lacuna da parte di Natzinger, se non fossi così modesta pretenderei le sue scuse. I vasi comunicanti, il principio di Archimede, il teorema di Bernoulli: io non so un’emerita cippa della questione e credo che si possa aprire tranquillamente un dibattito tra la legge di Torricelli e il dogma della transustanziazione. Quantomeno ci si può provare.

-Cosa ne pensa la Chiesa Cattolica Apostolica del french alle unghie? A me non piace granché, quello sui piedi poi lo trovo orribile, mi chiedevo se per i cattolici praticanti sia meglio lo smalto opaco o coi brillantini, e poi la forma dell’unghia è altrettanto fondamentale: come la facciamo, quadrata o arrotondata? Non è che poi Dio se la piglia a male se uso la lima di cartone, vero? E’ un tale permaloso..Finora c’è stato il silenzio totale da parte delle gerarchie Vaticane su questo tema, non posso più vivere senza sapere cosa ne pensano.

-La potatura degli olivi. Visto che l’olivo è il simbolo della pace (vedi  Bibbia alla voce “arca di Noè”-“colomba”) e lo si ritrova spesso nella simbologia cristiana sarebbe utile se Benedetto Decimosesto ci dicesse se è abbastanza cristiano spennarne le piante anche per la domenica delle palme e venderle a tot euri al ramoscello. Ne desumo che la potatura secondo Santa Romana Chiesa vada fatta in primavera e questo va a cozzare con gli agronomi che raccomandano invece la potatura in inverno o comunque prima della ripresa vegetativa. Il solito scontro scienza/religione insomma, su cui vorremmo un’illuminazione.

-Le perette anali. Ecco, visto che di solito il papa si occupa di argomenti che si trovano nelle mutande mi chiedo se si sia dimenticato di certi fastidiosi problemini di evacuazione (leggi: stitichezza) legati indissolubilmente al buco del culo. La posizione di fianco o a 90° è certamente peccaminosa per non parlare dell’inserimento nell’orifizio della peretta, causa potenziale di pensieri libidinosi. Possiamo rubricare questa pratica nella sezione “atti impuri” quando andiamo a confessarci? Oppure dobbiamo evitarne l’uso per non cadere in tentazione nonostante fave di fuca e la dolce euchessina non abbiano funzionato affidandoci alla Provvidenza anche se non riusciamo a cagare da una settimana?

Questi sono i miei suggerimenti e potrebbero venirmene in mente anche altri (sforzandomi), per cui ho una proposta per il papa: licenzi quella PALLA UMANA che lo aiuta a scrivere i discorsi e assuma me, che tanto sono disoccupata e che gli ravvivo l’ambiente.

Mi raccomando: contratto regolare, assicurazione, ferie pagate. E voglio anche le babbucce di Prada.

Non facciamo scherzi, Ratzy.

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Terra cun lande

Sa Filonzana (maschera)

Tzia Franziska è una bellissima donna, vestita ass’antica di nero lucente con un grembiule che pare cangiante al sole. Due orecchini d’oro le ornano il viso abbronzato e gli occhi furbissimi e due trecce di capelli bianchi ai lati si congiungono sulla nuca. Piccola che sembra una jana, tzia Franziska è svelta come una donnola e sembra quasi che il suo viso possa far dimenticare i suoi 73 anni vissuti all’interno di quell’oscuro sudario.

La puoi scorgere da lontano mentre passeggia per le bancarelle, un puntino nero di tradizione in mezzo a tutti quei turisti colorati in costume da bagno, occhiali da sole e parei da 3 euro, impossibile non notare il suo passo svelto e la malizia nello sguardo. Sembra uscita da un libro di favole, tzia Franziska, e ti si rivolge in italiano perfetto o in sardo perfetto, ma sempre minuta, graziosa e composta.

Tzia Franziska è una delle poche persone in questa fetta di mondo a saper fare il pane di ghiande, un pane che solo a sentirne parlare ti vengono i conati di vomito. Eppure, in mezzo a tutte queste rocce dove il grano non cresce e dove la terra è stata così avara con gli umani ma generosa di alberi di querce, lecci e olivastri grandi come palazzi di 3 piani, la gente ha imparato a preparare un cibo con le amarissime ghiande.

Depositaria di una sapienza antichissima ma rivolta ai nuovi mercati del turismo come panacea di tutti i mali, tzia Franziska ha imparato presto la scaltrezza del commercio e l’arte di saper spennare i turisti con qualunque pretesto: ora riesce a vendere perfino tramite la sua esperienza spacciata come unica al mondo.

I passanti estivi di questo lembo di terra, istupiditi dall’acqua di mare e dai profumi delle piante selvatiche restano abbagliati dal sole e docilmente si lasciano fregare. E tutto toccano, tutto assaporano e comprano e comprano.

Ignari di mangiare farina velenosa e terra, perchè il pane di ghiande altro non è che la lavorazione di qualcosa di non commestibile per l’essere umano mescolato con la cenere e l’argilla, inebetiti e con la bocca aperta alle zanzare nel caldo che avanza si sentono quasi degli eroi nell’essere riusciti a scoprire un po’ di isola nascosta da raccontare ad amici e conoscenti nel loro ritorno a casa.

Quegli antropologi che raccontano di povertà estrema, di geofagia e di gente in miseria costretta a mangiare terra cun lande perché non avevano altro di cui nutrirsi sono lontani mille miglia da qui e da questa donna dagli occhi lucenti che sa svendere pezzi di storia crudele con magnificenza.

Così va a pezzi quest’isola mia tra le coste sommerse di cemento preda di gente senza scrupoli e i primi a depredare le tradizioni e la cultura sono proprio coloro che maggiormente dovrebbero conservare e donare gratuitamente la loro conoscenza a chi verrà dopo di loro.

Ma tzia Franziska ha fretta, troppa fretta per pensare a queste sottigliezze e come il più abile dei mercanti deve vendere finché gli istranzos (gli stranieri) passano di qua; con il suo fascino deve riuscire a piazzare questo o quel prodotto e la sua fama e la sua sapienza  sono solo la scusa per smerciare tutt’altro.

I suoi orecchini d’oro dondolano mentre ti dice di sì e ti lusinga e tu sai che dirà di sì alla persona che la pensa in maniera diametralmente opposta alla tua con le stesse lusinghe e la stessa doppiezza d’intenti.

Ed è una specie di guerra a chi frega di più in questa terra immobile, e in questo silenzio degli alberi e del granito, indifferente all’isola ricoperta di pezzi di carta chiamati soldi.

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La vacanza

Per tutte le bozze che non ho pubblicato, per i miei neurotrasmettitori votati al martirio, per il caldo d’inferno che ti porta ad usare da sola anche un tagliacapelli di fortuna. Per le ferie da disoccupata che sembrano non finire mai.

Per quelle che in vacanza (miracolosamente pagata da altri) ci vanno pure di malavoglia e se capita di sedere al ristorante stanno come se avessero il culo sulle spine per ritrovarsi dopo una settimana ad aver fatto amicizia con la cameriera, una tizia sfigata quanto te che percepisce 1000 euro in piena stagione facendosi il mazzo 12 ore al giorno senza mai un giorno di riposo e sborsando 250 euri di affitto.

Perchè tu la capisci, oh sì che vi intendete al volo. Oh che bei ricordi. In modo che il cervello non se ne vada a riposo e tu possa continuare ad arrovellarti mentre gli altri intorno a te giocano a racchettoni.

Per quei signori ricchi e ammogliati che non la smettono proprio di sbavarti addosso pur sentendo il tuo chiaro disprezzo e per le “tzie” che venderebbero qualunque cosa ai turisti spacciandola come T.I.P.I.C.A. rubando e lucrando su tutto ciò che la nostra storia di poveri isolani ha da offrire.

Per quei turisti , tanti, troppi, che camminano su questo suolo e si bagnano in questo mare ma questa terra non la attraversano, e compiono l’unico grande rito di poter urlare al resto del consorzio umano con il telefono cellulare la loro presenza in Sardegna.

Per gli incendi, gli scioperi, la lentezza letargica che non si riesce a superare e i nuovi progetti che forse non dovevo cominciare.

Per la stanchezza mentale e per agosto che con il suo carico maturo alla fine ti vince e ti raccoglie, sfinita, con i fichi gocciolanti di miele e con le vespe arrabbiate. E la pelle che si squama e le giornate sempre più corte. E le lacrime e il sole gonfio all’orizzonte.

Così alla fine, anche se non vuoi, devi mollare la rigidità della presa accorgendoti di aver combattuto e perso un’inutile battaglia. Il tuo cervello, così, all’improvviso, cede e se ne va in vacanza dopo tanto lottare e dopo tante notti sulla graticola.

Senza che tu te ne accorga, proprio al limitare dell’estate.

i piedi della zia Jo in vacanza

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Parallelismi

Realtà:

http://www.youtube.com/watch?v=qfcfcKLmWDM

Fiction:

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Teoria e pratica

Stimolata da una conversazione virtuale sull’eventualità di un micro-corso sul femminismo (o i femminismi) al Feminist Blog Camp e visto il caldo insopportabile che mi sta arrecando una certa insonnia (limortacci) come al solito mi sono ritrovata nel bel mezzo della notte a ravanare random sul web. Ho trovato questo sunto lucido e puntuale di Luisa Muraro su un sito del snoq: ahahahahahah sì lo so fa ridere (motivo della risata qui) ma si sa che lei è un po’ mamma di tutt* noi e quindi ben venga.

Mi piace molto questo suo intervento anche alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni sul web, che ad un occhio inesperto potrebbe sembrare una mega-rissa ma in realtà è esattamente la pluralità di voci che una come me si aspetta da tante presenze dotate di spirito critico. A tal proposito e a quanti fanno continuamente appello a questa cacchio di “unità” di non so che vorrei dire che non ci tengo affatto, che va bene così, grazie e tante care cose.

Tornando all’articolo della Muraro aggiungo che un po’ di cultura di base non ha mai fatto male a nessuno: la cosa che colpisce maggiormente è la capacità di sintesi e di analisi di un fenomeno così vasto, anche se la differenza più evidente che la Muraro vuole rimarcare è quello tra femminismo “di Stato” e femminismo autonomo.

Ultimamente mi pare di vedere sempre più spesso in azione quello di Stato, di importazione dei paesi cosiddetti “civili”, quello delle donne taaaanto emancipate, delle svedesi libere e autonome, spesso trasformate in mito esotico per il maschio latino ma che a conti fatti la poltrona di assessore perchè tu sì e io no e se non ci arrivi da solo la parità te la faccio vedere io e beccati le quote di genere che in Italia si chiamano “rosa” (aridrànghete col rosa).

E questo è proprio un peccato perché dalle nostre parti il femminismo cosiddetto della differenza è così bello, così pieno di tante differenze per l’appunto, parla tante lingue, vuole fare la rivoluzione, rovesciare il patriarcato, emanciparsi, autodeterminarsi e chi più ne ha più ne metta, ma imporre con la legge no proprio no.

Ma poichè l’orto del vicino è sempre più verde allora le femministe nostrane son tutte brutte, racchie, represse, non si depilano e secondo me gli puzza anche un po’ l’ascella (pelosa, ovviamente).

Visto che non si vive solo di steccati e io non sono la Muraro (pur, ribadisco, trovando interessante il suo sunto) una come me riesce solo a fare la differenza tra tutto ciò che è teoria e quello che è pratica, ovvero la vita quotidiana, fatta anche di signore che leggono “Chi” alla fermata dell’autobus o di ragazze che a luglio seguono i corsi di ripetizione.

A tal proposito l’altro giorno mi è capitata questa conversazione con una femminista di 8 anni..

– “Jo, ma tu la facevi la chierichetta?”

– “Eh no io la chierichetta non l’ho mai fatta.”

– “E perché?”

– “E perché (perchè il prete era uno stronzo maschilista-dillo)..perché ero femmina.”

Sguardo corrucciato della femminista in erba, incazzatura latente, soppracciglia aggrottate. Sta per scoppiare.

– “Embèèèè? Cosa vuol dire? Ma non è giusto!”

– “Eh lo so che non è giusto, , ma il prete (era uno stronzo maschilista- e dillo!) non me la faceva fare la chierichetta. Solo i maschi potevano fare i chierichetti (e il prete era sempre stronzo e maschilista). Adesso però le cose sono diverse, i tempi cambiano, ci sono state molte persone che hanno combattuto perché tu potessi fare la chierichetta (???), e infatti se a te piace sono contenta che tu la faccia. Ti piace fare la chierichetta?”

– “Sìììì, tantissimo!”

Seguono i ricordi miei di bambina, dei compagnetti di classe che si vantavano di bere il vino della messa di nascosto e di andare ai funerali e vedere un sacco di morti (sì lo so non è bellissimo ma io ci tenevo).

Ecco, avrei voluto farlo o forse anche solo avere la possibilità di farlo ma in quanto essere di sesso femminile ero relegata d un ruolo passivo e da orante in mezzo a quelle immagini trasfigurate di madonne in nero che si inginocchiavano sui banchi di chiesa a pregare e piangere per le loro disgrazie o che sfogavano la loro competizione facendo a gara a chi urlava di più nelle canzoni.

E allora dicevamo la parità, il femminismo di Stato e quello autonomo, quello teorico e quello quotidiano, entrambe le cose o nessuna delle due.

Restano le domande, se sia giusto imporre, discutere, conquistare con la forza, sputtanare i maschietti che bevevano il vino benedetto e non è vero che l’hai bevuto, sei un bugiardo, lo voglio bere anch’io. Ma non me lo fanno fare.

Restano le mediazioni e le esclusioni. O le autoesclusioni: queste ultime mi capitano sempre più spesso, per fortuna.

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