Andare oltre

Si è fatto un gran parlare, tempo addietro, di certi manifesti del Pd: fiumi d’inchiostro virtuale sono stati sprecati nella disamina della comunicazione del partito in questione, sul sessismo implicito o esplicito nei partiti, sul vento che sarà anche cambiato ma porta ancora con sé zaffate di merda. Non voglio aggiungere nulla di nuovo alle gonnelle svolazzanti

immagine da subvertising.noblogs.org

Barbie-style alzate da quel colpo di vento (spirerà da destra o da sinistra? mah) o alla patta svolazzante di Bersani e non voglio aggiungere la mia opinione opinabile su un partito svolazzante come il Pd. Vorrei piuttosto soffermarmi sull’attribuzione “femminista” di determinate istanze e dichiarazioni e sul termine in sé che viene spesso frainteso o in qualche modo utilizzato in maniera impropria.

Le reazioni di molte donne del Pd ai suddetti manifesti infatti, soprattutto quelle del movimento del senonoraquando, si sono fatte subito sentire ponendosi apertamente in diretta polemica con l’immagine sessista ma allo stesso tempo si sono confuse con quante si trovano (ancora!) nella perenne attesa che i cari compagnucci si accorgano di loro, che il partito si accorga di loro (e non per le loro cosce e per le babbucce fucsia), che il mondo si accorga di loro, che la mentalità degli altri cambi e si diventi tutti antisessisti per intervento divino ecc. Non quindi ripartendo da sé e dalla capacità di riappropriarsi del diritto ad avere una sessualità propria a prescindere da un’ottica maschile ma spesso ridotte a chiedere l’elemosina al partito invece di emanciparsi, a difendere la presunta opposizione intoccabile in quanto opposta al male assoluto (Berlusconi. Detto anche Darth Vader). E purtroppo, a darsi delle “radical chic” a vicenda.

Mi ha colpito in questa vicenda anche l’uso del termine “femminismo” utilizzato in maniera assolutamente dispregiativa e quasi come sinonimo di “moralismo” da parte degli stessi compagni o dagli estimatori, piddini e non, di quei manifesti per designare proprio il movimento del snoq e tutte le donne che si sono opposte al sessismo di quell’immagine.

Vorrei uscire un attimo dalla polemica in sé e per sé non solo per affermare che l’uso del termine “femminismo”, già di per sé poco funzionale al singolare in quanto i femminismi sono molteplici, in questo caso è assolutamente ristretto all’antisessimo tout court ma che queste controversie sono lontane anni luce dai movimenti femministi mondiali che si battono per i diritti delle donne e per la parità: l’unico collegamento che questa diatriba mi consente di immaginare è con il solito problemino, prettamente italico e nostrano, della cultura berlusconiana del tettaculismo che ha ormai contagiato tutti, destra e sinistra nessuno escluso.

A tal proposito mi è capitato di recente di vedere un bel documentario di Arte, che potete trovare anche sul Tubbo diviso in 6 parti 6, sulla filosofa Judith Butler, a mio parere la più Judith Butlerimportante personalità vivente sull’approccio queer alla sessualità e una delle figure più carismatiche e rivoluzionarie per i gender studies dopo Foucault. Nella terza parte di questo doc alla domanda “Sono femminista?” la Butler risponde “Certamente” e rimarca “Il dubbio non è permesso. Sono femminista ma anche queer”, in maniera non escludente o disgiuntiva e totalmente affermativa; in lei non vi sono tentennamenti né esitazioni di sorta.

Tutto ciò potrebbe sembrare perfino curioso dal punto di vista italico poichè la Butler è stata considerata per molto tempo, e per certe femministe de’noartri ancora oggi, come colei che ha avversato il femminismo (apriti cielo!) vecchia maniera, con quella visione della donna-vittima e con la concezione granitica della differenza di genere. Invece l’assoluta affermazione del suo essere femminista, senza tentennamenti o dubbi, è pienamente decisa, marcata, consapevole.

Nel panorama italiano invece mi pare di notare spesso che i dubbi sul proprio percorso siano una delle preoccupazioni maggiori che affliggono gli attivisti in generale e le femministe in particolare, non come intento positivo di rimettere sempre tutto in discussione (a tal proposito il bellissimo post di Sud-de-Genere) ma piuttosto come atteggiamento negativo legato a spaesamento e confusione.

Sul blog di Giovanna Cosenza mi è stato risposto che in Italia il termine “femminismo” non è mai stata parola gradita per cui si preferisce usare il termine “antisessismo” in sostituzione: ma l’antisessismo è equivalente del femminismo o è solo una parte di esso? L’essere favorevoli ad una parità nei diritti, seppur nella differenza dei generi, implica anche ad esempio, il concetto di emancipazione?

Parimenti su molti altri spazi ho notato la stessa identica problematica, più o meno palesata, nell’utilizzo del termine in questione e nel volersi riconoscere in quel tipo di interesse, argomento o scelta di vita e mi chiedo se questo tipo di insabbiamento o la difficoltà di identificarsi nel percorso femminista sia qualcosa che riguarda la nostra specifica condizione sociale e politica.

Quasi 20 anni di berlusconismo (oh, il ventennio, vi ricorda niente?) non sono una cosa da poco: nonostante i tentativi di cancellare o minimizzare la portata di questo lungo fenomeno trovo che sia inutile nascondere le profonde tracce che esso ha lasciato nella nostra vita quotidiana e nella nostra cultura. Non sarebbe meglio cominciare a vederle per quello che sono?

C’è stato sicuramente chi per principio si è mosso subito contro questo sistema e c’è chi non solo l’ha respirato senza rendersene conto ma spesso e volentieri in quel background è nato, cresciuto e pasciuto: molte di quelle persone che militano oggi contro il sessismo dilagante del berlusconismo non hanno proprio avuto modo di conoscere altro, e mi riferisco soprattutto alle cosiddette nuove generazioni.

In tutto questo tempo le risposte più immediate e più spontanee dovevano essere per forza quelle antisessiste: in un sistema che impone come regola il sessismo l’unica ribellione possibile è ovviamente quella della strenua opposizione. Ad ogni input finora è corrisposta una reazione uguale contraria fatta della lunga trafila di segnalazioni allo Iap delle immagini lesive, delle indignazioni con i conseguenti appelli ecc; anzi mi pare che il movimento del snoq, quantomeno nella sua fondazione, si sia basato soprattutto su questo tipo di risposta.

Al tettaculismo imperante si è opposta la pudicizia e il richiamo alla dignità, alla mercificazione massificata dei corpi la voglia di ricreare un immaginario differente, alla mancanza di parità le battaglie ossessive sulle quote di genere (rosa o fucsia pure quelle), assolutamente di pari passo con quanti in altri movimenti si opponevano alla disonestà dilagante con il desiderio di legalità che sconfina nel giustizialismo ecc. Tutti imprigionati insomma in un meccanismo di azione e reazione che è stato per molto tempo l’unico possibile, l’unico che ci fosse concesso.

Anche il femminismo nostrano quindi, volente o nolente, è stato coinvolto e triturato nell’antiberlusconismo ma vi sono sempre state delle istanze per così dire, “resistenti” che hanno attraversato questi lunghi anni in maniera autonoma e con percorsi a sé stanti.

Nei media generalisti invece si ribadisce spesso con intento censorio, che “il femminismo è morto”. Amen. Se non avessi partecipato fisicamente insieme ad altre 100.000 persone nel novembre 2007 alla grande manifestazione contro la violenza sulle donne e se non avessi notato la giovane età delle partecipanti probabilmente avrei potuto dare ragione a queste scribacchine di regime.

Quindi spiacente per loro ma i femminismi non solo sono vivi e vegeti ma è più che mai forte il bisogno di ri-costruire i movimenti, la voglia di autodeterminarsi, il desiderio di proporre pensieri nuovi e totalmente autonomi rispetto al modello imperante, a prescindere dalle lotte comuni (leggi: Berlusconi e i suoi scagnozzi).

Esiste inoltre la possibilità, oggi più di ieri grazie alla rete, di collegarsi a femminismi già attivi ed esistenti di portata mondiale come l’ecofemminismo di Vandana Shiva, la già citata Vandana Shivateoria queer della Butler, le postpornografia da Annie Sprinkle in poi, i femminismi rivoluzionari di matrice locale (islamici e non) con esponenti di punta come Nawal al-Sa’dawi, tanto per citare dei facili esempi.

Si dice che il berlusconismo come fenomeno di massa sia arrivato alla fine, che abbia i giorni contati: sta ora a noi, femministe e disertori del patriarcato che ci siamo posti finora in maniera del tutto affermativa, superare quell’esercizio di mera reazione a ciò che ci viene propinato e partire da sé creando ex novo o riallacciandoci a qualcosa di già esistente. In rete c’è già da tanto tempo un dialogo convulso e fitto di ragionamenti su questi temi, sarebbe bello poterne discutere tutti e tutte insieme: la proposta, che viene da Femminismo a Sud, c’è già.

Comunque sia, andiamo oltre.

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Notizie che non fanno notizia

Se avessi più tempo a disposizione (cosa che ultimamente non ho affatto, vista anche la mia assenza prolungata da questo spazio) aprirei un altro blog. Ebbene sì.

Il nome del blog potrebbe essere “notizie che non fanno notizia” oppure “quelle cose a cui ci siamo abituati” o ancora “dalle mie parti queste cose rientrano nella norma”. Un paio di esempi tratti da La Nuova Sardegna di oggi, copincollo:

Si pugnala per evitare l’arresto: muore giovane marocchino Mohamed Hajii, 27 anni, si era pugnalato al petto davanti ai carabinieri per il terrore di dover tornare nel carcere dal quale era uscito per un permesso premio.

CAGLIARI. Non ce l’ha fatta il marocchino che ieri mattina si era conficcato un coltello al petto davanti ai carabinieri per il terrore di dover tornare nel carcere dal quale era uscito per un permesso premio. Mohamed Hajii, di 27 anni, è morto durante la notte nel reparto di Rianimazione nell’ospedale Brotzu dove era ricoverato in condizioni disperate dopo l’intervento chirurgico al quale è stato sottoposto.

L’episodio era avvenuto a Uta. Il giovane extracomunitario era scappato con la sua auto dopo una lite con la sua ex compagna, una connazionale. La donna aveva subito avvertito i carabinieri e mentre i militari del Radiomobile di Iglesias stavano ascoltando il suo racconto Hajii è passato proprio davanti alla pattuglia e forse spaventato dall’idea di dover tornare in cella ha preso un coltello e si è colpito al petto. Un unico fendente che si è piantato vicino al cuore.

Ecco un’altra notizia-non-notizia, questa contiene anche meno parole, del resto non gliene frega niente a nessuno di tutto questo, perchè sprecare tempo ed energia per cose come queste?

Perde il lavoro e si uccide ingerendo della soda caustica

Dopo aver perso il posto di lavoro in una stazione di servizio di Oristano, un uomo di 57anni, originario di Cuglieri, si è tolto la vita ingerendo soda caustica. L’uomo è morto nel pomeriggio nell’ospedale San Martino di Oristano dov’era stato ricoverato 24 ore prima, dopo essere stato soccorso nei pressi del campo sportivo di Cabras. Sposato con una donna del suo stesso paese, l’uomo lascia due figli.

Sui media nazionali ovviamente non c’è traccia di queste notizie, già ridotte a trafiletto nelle cronache locali. Però c’è tanto tanto spazio per altro.

Fate voi eh.

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Allergie

Come molti sapranno (loro malgrado) questo è il periodo migliore per le allergie: naso che cola, starnuti, occhi brucianti, rincoglionimento cronico. Come tutti gli anni succede anche alla zia Jo e ancora non ho preso la benedetta decisione di fare i famosi test antiallergici per capire l’origine, la causa del mio malessere.

Oltre alla rinite però in questo periodo mi si sviluppa un altro tipo di allergia: quella alle elezioni, che guarda caso vengono collocate temporalmente sempre in coincidenza della fioritura dell’olivo e delle graminacee e dell’esplosione vegetale della parietaria sui muri.

La zia Jo si è recata anch’essa al seggio elettorale per votare SI’ al referendum consultivo regionale sul nucleare la cui vittoria schiacciante, mi permetto di ricordare con soddisfazione, è stata ottenuta con il 97, 13% dei sì antinuclearisti e un affluenza record del 59, 34 % nonostante la totale censura mediatica da parte dei media e del governo.

Ci sono andata per il semplice motivo che per preservare la propria salute e l’amata/odiata Sardegna bisogna davvero TENTARLE TUTTE e il lusso di ignorare questo referendum in una terra come la mia, così scarsamente popolata, non ce lo potevamo permettere.

Certo, è sempre valida l’opzione che potrebbero infischiarsene bellamente del nostro parere e piegare come fuscelli, in maniera molto facile a dire il vero, 1 milione e mezzo di persone ma se non altro possiamo almeno affermare di averci provato in tutti modi cosiddetti “democratici”.

La prima sensazione che mi ha assalito all’entrata del seggio è stato un senso di totale estraneità, sentimento che si è acuito aprendo la mia tessera elettorale intonsa mentre quelle degli amici erano stracolme di timbri e timbrini.

Per qualche attimo mi sono fatta sorprendere da un moto quasi di colpevolezza dovuto a quel retaggio del lavaggio del cervello sul “dovere elettorale” e non mi ricordavo più come procedesse l’operazione nonostante una volta abbia fatto persino la scrutatrice, segno invece che il tasto RESET l’ho schiacciato fino in fondo.

Alla fine l’ho scampata, sono uscita perfino trionfante e un po’ orgogliona, mi sono sentita come quando da bambina facevo i fioretti alla Madonna e mi sembrava di aver salvato il mondo. Niente brufoli, orticaria, prurito, chiazze rosse, niente di niente.

Ma purtroppo non poteva finire così: basta dare un’occhiata alle notizie, informarsi un minimo accendendo un pc, chiacchierare con le persone per rendersi conto che la mania del “metti quel culo su quella poltrona” ha contagiato tutti.

Gente che a Bitonto voterebbe per Pisapia e fan di De Magistris a Civitella di Romagna, completamente impazziti per un leaderismo senza senso visto che il culo su quella poltrona non solo non è il tuo ma non ti cambierà assolutamente niente. Sembra di assistere ai mondiali di calcio.

Le elezioni, siano esse amministrative o politiche, mi lasciano sempre l’amaro in bocca e un’idea pessima del genere umano. La sensazione di sconforto aumenta davanti al fatto che in quest’ultima tornata abbiamo assistito ad un boom di candidati mai visto: 20 mila candidature, soltanto nei 30 capoluoghi di provincia, e 629 partiti nei comuni capoluoghi.

La politica elettiva e la democrazia rappresentativa hanno evidentemente fatto flop se tutti credono che “basta candidarsi” per attingere al magna magna della casta.

I proprietari dei culi che dovrebbero sedere nelle famose poltrone poi fanno e dicono cose allucinanti, si denigrano a vicenda, promettono cazzate colossali e irrealizzabili, presentano programmi fasulli, mentono e mentono sapendo di mentire, inscenano aggressioni, organizzano teatrini e sceneggiate, corrompono, infangano: l’abiezione umana è perfettamente incarnata da questi personaggi e oltre alla rinite e al gomito della lavandaia al solo pensiero di questi individui mi sale anche la nausea.

Del resto non riesco a provare pietà nei confronti delle migliaia (forse milioni, ohibò) di lobotomizzati del voto, degli schiavi proni alle gerarchie feudali col vassallo in cima e alla base i tifosi poverazzi che continuano a star male.

Dove credono che possa realizzarsi il cambiamento di un sistema se  lo appoggiano e  lo legittimano continuando a votare per qualcuno? Cosa spinge le persone a mettere un leader su uno scranno e a delegare le proprie responsabilità sociali con una crocetta ? Quale perverso meccanismo porta l’essere umano ad appecoronarsi volontariamente al potente in maniera così indegna?

Non riesco a trovare una logica, una spiegazione, se non in quella parte masochista ed autolesionista che trova spazio in ognuno di noi.

Basta che nessuno venga a raccontare la storiella del “meno peggio” ad una come me che la prima volta in cui ha esercitato il diritto di voto si è ritrovata col trauma e i sensi di colpa per aver contribuito involontariamente a bombardare la popolazione civile inerme.

Perchè il “meno peggio” anche in quest’occasione non ha fatto passare manco dieci giorni dalla sua elezione senza farci notare il fascismo che è in loro. Come si suol dire qua il più pulito c’ha la rogna.

Nel frattempo a me non rimane molta scelta e non mi resta altro che grattarmi e starnutire, starnutire e grattarmi in attesa che tutto passi.

Foto di Arwen La Rocca

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Ancora censura sulla Sardegna

Ci tengo a dare un paio di notizie sulla Sardegna censurate dai media, premettendo che mi limiterò alla scarna cronaca dei fatti e che il mio non è un invito a fare una cosa piuttosto che un’altra: ognuno decida in libertà cosa più gli aggrada, io oltretutto non sono un prete, non ho preso i voti e non ho regole particolari da seguire. Amen.

C’è grande attesa per la manifestazione che si terrà domani 12 maggio a Cagliari: ha suscitato notevole scalpore (ma solo tra i telespettatori) la puntata di giovedì 5 maggio del programma Annozero con i servizi sulla situazione (dimmerda) dei pastori sardi, degli artigiani, degli operai e la diretta da Carbonia, nel Sulcis.

Dall’altra parte, nello studio, politicanti e giornalisti ammuffiti e imbalsamati che stavano lì a fare la controparte nel solito schemino televisivo “sapientoni vs. restodelmondo” si sono trovati invece a balbettare cazzate mentre disperazione e richieste d’aiuto entravano con la crudele purezza della realtà nelle case di milioni di italiani.

Ovviamente nei giorni successivi la maggior parte dei media nazionali ha evitato di toccare l’argomento come se fosse cacca fresca, troviamo vaghi accenni in qualche blog nel quale si tenta di analizzare la situazione al solito modo che conosciamo a memoria.

Io dal canto mio vorrei evitare di proporre una tesi personale sulla situazione visto che ho già riassunto in questo vecchio post la mia opinione sulle teorie e le analisi mentre gli avvenimenti sono in corso.

Mi limito ad affermare alcune cose essenziali: in primis che nonostante la questione del social network la Sardegna non assomiglia al Maghreb neanche lontanamente, soprattutto dal punto di vista della popolazione: in un territorio vastissimo (per estensione è la terza regione italiana e la seconda isola del Mediterraneo) siamo rimasti in 4 gatti, un milione  e mezzo per la precisione, di cui moltissimi soprattutto giovani, risultano residenti nell’isola ma studiano/lavorano fuori. [I motivi di questo spaventoso spopolamento li avevo già esposti qui].

In secondo luogo devo ricordare che la maggior parte del “popolo delle partite Iva” (i dimostranti si fanno chiamare così) chiede soprattutto il congelamento per un paio d’anni delle cartelle esattoriali di Equitalia, ha deciso di protestare per ora solo dentro il confine regionale e al momento non ha invitato al dissenso gli studenti ed i giovani, le categorie invece più colpite dalla crisi e dalla disoccupazione.

Inoltre come si evince chiaramente da questo video vengono espresse precise richieste d’aiuto rivolgendosi “ai governanti” e quindi ancora, per l’ennesima volta, allo Stato italiano.

Un’altra notiziola di poco conto totalmente bypassata dai media nazionali (avranno avuto da fare, magari si sono scordati, boh) è che domenica 15 e lunedì 16 in Sardegna si vota per il referendum consultivo popolare sul nucleare.

Infatti, oltre allo zoo dei candidati che ci siamo dovuti subire in alcune zone dell’isola in mezzo all’aria di rivolta e ai pollini delle piante in piena fioritura, non c’è stata nessuna campagna informativa sulla questione, tutta la trasmissione della notizia è stata lasciata interamente al passaparola.

Il quesito che verrà sottoposto è il seguente: “sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?” Ne consegue che se si è contrari al nucleare la logica risposta a questa  domanda debba essere un SI’.

Infine un breve ragguaglio dall’Isola dei Cassintegrati: si trovano all’Asinara da 440 giorni, non hanno risolto nulla ma hanno un bellissimo blog sempre aggiornato sul dramma del lavoro in Sardegna.

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Femminismi, l’aggrega blog e siti r-esistenti

E’ con grande gioia che ho accolto la notizia della nascita di Femminismi, aggregatore di blog e siti r-esistenti in cui convivono e cospirano insieme antisessismo, antirazzismo e antifascismo.

Ne sono felice per due motivi fondamentali: innanzitutto la zia Jo adora fare rete e in secondo luogo tutto ciò mi semplifica il “lavoro” in maniera notevole (scusate se sono pragmatica, eheh). Mi piacciono tanto i punti di riferimento, la condivisione..e i pentoloni delle streghe.

Se volete complottare con noi suggerite il feed di un blog o un sito di contenuti affini all’indirizzo femminismi[chiocciola]grrlz[punto]net, le cyberfemministe vi accontenteranno 🙂

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Nuvole nere

Vignetta di Alessio Spataro http://alessiospataro.blogspot.com/

“In un paese di piccola borghesia come l’Italia, e nel quale le ideologie piccolo-borghesi sono andate contagiando anche le classi popolari cittadine, purtroppo è probabile che le nuove istituzioni che seguiranno al fascismo, per evoluzione lenta o per opera di violenza, e anche le più estreme e apparentemente rivoluzionarie fra esse, saranno riportate a riaffermare, in modi diversi, quelle ideologie; ricreeranno uno Stato altrettanto, e forse più lontano dalla vita, idolatrico e astratto, perpetueranno e peggioreranno, sotto nuovi nomi e nuove bandiere, l’eterno fascismo italiano.” (da “Cristo si è fermato ad Eboli”)

Qualche giorno fa su Repubblica è uscito un articolo di Barbara Spinelli dal titolo “il populismo che si nutre di ignoranza”.

Il pezzo in questione analizza quel fenomeno che alla fine degli anni ’80 e inizio dei ’90 venne definito “nuova destra” ma in realtà possiamo chiamarlo col suo vero nome ossia nazionalsocialismo, movimento di cui fanno parte la nostra amata Lega Nord, il Front National di Le Pen in Francia, il Fidesz in Ungheria ecc. ecc. Neppure la Finlandia è esente dall’avanzata nazista e xenofoba, esiste una “nuova destra” pure lì (si chiamano “Veri Finlandesi”, giuro).

In realtà questi partiti, a parte l’FPÖ austriaco che ha invece avuto la fortuna disgrazia di veder morire il proprio creatore Jörg Haider, si assomigliano un po’ tutti e hanno avuto più o meno la stessa parabola: infatti sono tutti nazionalisti e xenofobi allo stesso modo. Rispetto al nazismo hitleriano hanno cambiato solo il tipo di antisemitismo: ora non hanno più posizioni anti-ebraiche ma anti-islamiche, nel caso dell’Olanda ad esempio il partito nazista di turno è stato fondato proprio su questo “ideale”.

Un’altra curiosa coincidenza che li accomuna è che tutte queste formazioni politiche risultano essere il secondo-terzo partito di ogni Stato e sono confluiti oppure si trovano in coalizione in un fantomatico polo della “libertà” (giuro che anche questo è vero). Come vedete non siamo soli, è inutile maledire il solo dio Po.

Qualche anno fa quando mi azzardavo a dire che vivevamo in piena dittatura tutti mi prendevano per pazza: c’era l’idea che la dittatura fosse sempre sinonimo di scariche elettriche ai genitali e strappaunghie alla Fulgencio Batista o solo quella delle bandiere con croci uncinate e dei discorsi razzisti da un balcone.

Oggi come oggi invece è opinione assai diffusa che il berlusconismo che stiamo vivendo da un ventennio (ho scritto ventennio, certamente) sia una classica forma di cesarismo basata sul consenso, sulla figura del “capo”, con il tipico controllo dei media, la propaganda ecc adattata ai tempi e ai luoghi che conosciamo.

Nonostante qualche sporadico ingenuo, ormai che la nostra sia una forma di dittatura è cosa più che acclarata se siamo addirittura arrivati ad ipotizzare un colpo di stato militare sulle pagine di un quotidiano nazionale. La fine ultima della democrazia rappresentativa in Italia infatti ha avuto la mazzata finale (ma era già alquanto agonizzante) il 21 dicembre 2005, giorno in cui è entrata in vigore la nuova legge elettorale e in cui il popolo non ha più potuto votare i propri rappresentanti manco per finta come faceva prima.

Gli ingredienti della dittatura ci sono tutti, dal razzismo alla repressione e la triade Dio-patria-famiglia è perfettamente difesa, legittimata e propagandata. Inoltre, come accade molto spesso in questi frangenti, la presenza del capo di cui non ci si riesce a liberare non è vista dal popolo come un atto d’accusa nei confronti degli elettori e sostenitori del potente, al contrario è solo il capo e i suoi rappresentanti più prossimi ad essere ritenuto responsabile del sistema di cose.

In realtà sappiamo benissimo che il capo è solo la punta di una piramide con ampia base, è solo l’estrema conclusione e rappresentazione di un sistema fondante e pienamente connivente, non per questo esente da colpe ma neppure unico capro espiatorio come spesso si tende a fare nel nostro paese in modo da poter fare i classici rimpasti e riproporre ad libitum sempre le stesse facce di merd persone con vestiti differenti.

E’ quindi ovvio e consequenziale, visto il clima di impunità se non di palese appoggio, che dopo vent’anni di leghe e partiti delle libertà gli stronzi possano uscire dalle fogne galleggiando con grande sicurezza e sprezzo del pericolo, protetti dal regime e totalmente impuniti, liberi di poter fare ciò che desiderano e quando lo desiderano, complici e fautori dei capi che hanno sempre sostenuto esattamente come le vecchie camicie nere.

Il loro ritenersi al sicuro è chiaramente proporzionale alla loro capacità di essere servi dei potenti, di strisciare il più in basso possibile e leccare il culo ai padroni di turno facendo finta di essere degli innovatori e dei ribelli, non solo perfettamente proni all’autorità ma anche partecipi dello stesso potere a cui forniscono un preciso bacino elettorale.

Mi risulta che ultimamente questo genere di infimi personaggi si siano dati molto da fare, vista la protezione, la tutela ma soprattutto l’immunità di cui possono godere pienamente: a tal proposito vorrei esprimere tutta la mia solidarietà e vicinanza ai ragazzi picchiati a Roma e a quelli accoltellati nella facoltà di Lettere alla Federico II di Napoli. Ormai episodi di questo genere accadono quasi tutti i giorni nell’indifferenza generale (per una maggiore comprensione di ciò che è successo ultimamente rimando a Staffetta).

Come se tutto ciò non bastasse, quello che è accaduto in questi ultimi tempi a livello europeo nei confronti dei migranti provenienti dal l’Africa del Nord o il silenzio durante la deportazione del popolo Rom, ci dà un’idea della direzione che stiamo prendendo: i singoli Stati sono ormai sempre più arroccati in posizioni protezionistiche, l’identitarismo ha ormai ceduto il passo al nazionalismo più populista.

Il cancro si è ormai diffuso e come una metastasi sta raggiungendo il massimo della sua espansione nell’ultimo anno: i neonazisti sono sbarcati al parlamento perfino in Svezia (20 deputati), in Olanda sono arrivati ad essere il partito di maggioranza nel marzo scorso (vedremo cosa accadrà a giugno) mentre in Ungheria come ben sappiamo hanno già cambiato la Costituzione identificando nazione politica con nazione etnica e sancendo di fatto l’istituzionalizzazione di una nuova dittatura nazionalsocialista.

Ciò che temevamo potesse riaccadere si sta svolgendo sotto i nostri occhi ancora una volta, chi ha ancora voglia di fare il liberale e il democratico di questi tempi si pone in maniera del tutto anacronistica rispetto a ciò che stiamo vivendo. Mi piacerebbe che un domani, nonostante la loro buonafede, non gli fosse concesso di dire “noi non sapevamo”, troppo comodo decidere di non vedere.

 

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Santiago

“Signor Giovanni Paolo II, molti giorni abbiamo impiegato per assimilare la richiesta di perdono che Lei, Giovanni Paolo II, ha reclamato per il genocida Pinochet.

Ci rivolgiamo a lei come ad un cittadino comune perché ci sembra aberrante che dalla sua poltrona di papa nel Vaticano, senza conoscere né aver sofferto in carne propria il pungolo elettrico (picana), le mutilazioni, lo stupro, si animi in nome di Gesù Cristo a chiedere clemenza per l’assassino.
Gesù fu crocifisso e le sue carni furono straziate dai giuda che come lei oggi difende un assassino.

Signor Giovanni Paolo, nessuna madre del terzo mondo che ha dato alla luce un figlio che ha amato, coperto e curato con amore e che poi è stato mutilato e ucciso dalla dittatura di Pinochet, di Videla, di Banzer o di Stroessner accetterà rassegnatamente la sua richiesta di clemenza.

Noi la incontrammo in tre occasioni, però lei non ha impedito il massacro, non ha alzato la sua voce per le nostre migliaia di figli in quegli anni di orrore.

Adesso non ci rimangono dubbi da che parte lei stia, però sappia che sebbene il suo potere sia immenso non arriva fino a Dio, fino a Gesù.

Molti dei nostri figli si ispirarono a Gesù Cristo, nel donarsi al popolo.

Noi, la Associazione “Madres de Plaza de Mayo” supplichiamo, chiediamo a Dio in una immensa preghiera che si estenderà per il mondo, che non perdoni lei signor Giovanni Paolo II, che denigra la Chiesa del popolo che soffre, ed in nome dei milioni di esseri umani che muoiono e continuano a morire oggi nel mondo nelle mani dei responsabili di genocidio che lei difende e sostiene.

Diciamo: NO LO PERDONE SEÑOR A JUAN PABLO II°”

Associazione Madri di Plaza de Mayo – Buenos Aires, 23 febbraio 1999.

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Siete pronti per la prova costume?

Ormai è cosa nota e risaputa che la cellulite sia una malattia: dopo lo choc iniziale dovuto a questa gravissima scoperta sono subito corsa ai ripari, molto molto prima delle vacanze di Pasqua.

Difatti sappiamo già che subito dopo questa ennesima Resurrezione e la conseguente gita fuori porta a suon di ganasce cominceranno a bombardarci con la solita storia della magrezza, dopo averci smarronato le ovaie per tutto il resto dell’anno proponendoci schifezze edibili di cui abbuffarci. Quindi per una volta giocheremo d’anticipo, in barba al sistema pubblicitario e capitalistico che scandisce le nostre vite per quel momento fondamentale che tutto il mondo, dal Burkina Faso alla Tasmania ci invidia: la prova costume.

La zia Jo ha testato per voi delle diete meravigliose e facilissime a costo zero (o quasi), l’importante è seguire alla lettera i consigli e non sgarrare altrimenti in quel bikini che avete comprato l’anno scorso col cazzo che ci entrate pure quest’anno!

E’ ovvio che tutte le cibarie preparate per Pasqua le dovete dimenticare. La colomba al cioccolato? Scordatevela. Avete cose più importanti a cui pensare: mi raccomando innanzitutto la motivazione.

La dieta dell’acqua:

Avete un rubinetto d’acqua potabile in casa? Allora siamo a cavallo. La mattina appena alzati al posto della colazione un bel litro d’acqua naturale (mi raccomando non gasata). A pranzo due litri e magari un bel contorno di servizi fotografici di Vogue con modelle anoressiche per incoraggiarvi maggiormente. Il pomeriggio un paio di bicchieri per tirarvi su. La sera: un litro d’acqua: datemi retta, è meglio andare a dormire leggeri.

Seguite questa dieta fino a quando non andrete in vacanza e se non siete già all’obitorio entrerete nel costumino. Certo, potrebbe venirvi un po’ di fame di tanto in tanto, ma come ho già detto e ripetuto: siate motivati! Occorre essere inflessibili per perseguire l’obiettivo che vi siete prefissi.

La dieta del frigo vuoto o del disoccupato (meglio nota come “dieta del morto di fame”):

E’ una dieta facilissima da fare, basta essere disoccupati, non avere soldi per mangiare decentemente e avere solo bollette da pagare. Il vostro frigo sarà sempre magicamente vuoto quindi non vi dovrete manco preoccupare di seguire le dieta, ci penserà il nulla cosmico attorno a voi a farvi diventare magri come chiodi.

Dopo diversi mesi passati a portare il curriculum vitae nelle agenzie interinali, a spedire e-mail e a deprimervi scoprirete che il costume da bagno non solo vi sta a pennello ma avrete in regalo anche delle meravigliose occhiaie: l’unico problema è che non avrete soldi per andare al mare e sfoggiare la vostra invidiabile silhouette. Ma questo è un altro paio di maniche.

La dieta del travaso di bile o dell’attivista:

Per seguire questa dieta bisogna essere tutto meno che indifferenti alle disgrazie del mondo. La mattina appena alzati leggete un qualunque quotidiano e incazzatevi liberamente: brucerete subito le calorie in eccesso accumulate durante la notte. A pranzo e e cena discutete di politica o di religione con persone intolleranti. La sera costringetevi ad accendere la tv e subitevi il grande fratello invocando l’Apocalisse e buttando giù a suon di bestemmie tutti i santi del calendario. Se fate attività sociale o politica è anche meglio, ogni riunione son svariati etti in meno. Avete figli? Meglio ancora.

Dopo diverso periodo in questo stato avrete il fegato ingrossato, problemi d’insonnia e svariati tic ma sarete perfettamente in linea  e pronti per godervi le vacanze, anche se probabilmente non riuscirete a farlo perché vi incazzerete come non mai anche in quell’occasione.

La dieta del nichilista depresso:

Il mondo fa schifo e la mattina non ha molto senso alzarsi. Quindi restate a letto oppure alzatevi, ma solo se vi va. Sempre se ne avete voglia fate colazione/pranzo/merendina/cena con quello che vi pare e all’ora che vi pare, tanto il tubo digerente è una piaga da cui non riusciremo mai a liberarci e prima o poi, che mangiamo o no, dovremo crepare tutti. Fate tutto quello che vi passa per la testa se ne avete piacere, se no non fatelo, tanto presto o tardi farete la fine di tutti.

Meditate sul niente e sull’inutilità dei rapporti sociali. Non dimenticate di mandare affanculo l’universo varie volte al giorno e se ne avete voglia provate il costumino altrimenti lasciate perdere. Tanto di andare in vacanza non ve ne frega niente quindi tutto questo sbattimento è assolutamente inutile.

Anzi, visto che ci siete andate a prendere l’alcool nel mobiletto del bagno e l’accendino che sta in cucina: scoprirete non solo che il problema non si pone più ma che i costumi da bagno bruciano benissimo.

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Inverno e primavera

Dall’altra parte di questo mare continuano le lotte, le rivolte, le rivoluzioni. Questa primavera sembra non voler finire mai per chi insegue i propri sogni, spera in un futuro migliore, muore per la libertà.

Qui ancora pieno inverno per qualcosa che non vuole saperne di sbocciare ed esplodere, per il continuo e ininterrotto susseguirsi di analisi, giudizi, ipotesi, congetture, teorie. E sono teste che vengono scosse o alzate di spalle piene di cinismo nei confronti di eventi che non riusciamo a comprendere, di situazioni che non viviamo più da troppo tempo e di cui ci sfugge la complessità.

Complice il benessere che ottunde il cervello, la nostra evidente quanto ridicola carità da colonialisti, il nostro sentirci tutti intellettuali da tastiera con la pancia piena.

Il web non ci ha aiutato, anzi ha peggiorato le cose, allargato l’abisso, segnato il ritorno ad un mondo sconosciuto e non navigabile: ormai anche la cronaca nuda dei fatti diventa scivolosa e mancante di senso, abituati ad apprendere le notizie dai nostri siti o blog di riferimento, sempre filtrate da qualcun altro, sempre inframmezzate, incomplete e spesso strumentalizzate, di certo già gonfie delle idee di chi le ha manipolate in precedenza.

Andare a leggere, guardare, osservare cosa scrivono, che dicono coloro che agiscono al di là del mare costa troppa fatica: ascoltare le loro voci in una lingua differente, vedere i loro volti pieni di speranza e rabbia e il loro sangue, tanto sangue versato per un ideale, non è roba per noi.

Molto meglio imbastire teorie che incasellino l’universo inconoscibile nella griglia della nostra mente e ci facciano sentire sicuri, superiori, certi della nostra visione delle cose. Molto meglio credere che quelle migliaia di persone in piazza Tahrir siano tutti figuranti pagati dalla Nato piuttosto che ritenerle persone come noi.

Abbiamo perso la capacità di ascoltare ma ciò che mi preoccupa ancora di più è che abbiamo perso anche la capacità di sentire, provare empatia, riconoscere in quel desiderio di libertà che prova l’altro lo stesso sentimento che proviamo noi ed infiammarci per questo.

Per tutti l’unica via percorribile sembra ormai essere quella dell’autocelebrazione attraverso le analisi, le tesi e le scansioni dall’esterno. Per tutti o quasi.

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La normalità sessuale non esiste

Essendomi concessa un breve viaggio ed una parentesi dalla solita routine sono incappata del tutto accidentalmente in un breve ed interessantissimo testo a cura del Circolo Pink di Verona. Il titolo del libro è “Le ragioni di un silenzio-la persecuzione degli omosessuali durante il nazismo e il fascismo”.

Mi capita spesso di incontrare per caso dei libri anche se il fattore “casualità” è sempre in qualche modo diretto e mosso dai propri personali interessi: difatti seguendo il filo della memoria e degli olocausti dimenticati e/o rimossi dalla storia ho continuato ad approfondire il discorso con la visione di Paragrafh 175, docufilm (si dice così adesso, docu-film..) di cui raccomando assolutamente la visione per avere almeno una vaga idea della persecuzione subita da gay e lesbiche nell’Europa nazifascista.

Non è sufficiente assumere come simbolo di “orgoglio” il triangolo rosa (invenzione destinata agli omosessuali nei campi di concentramento) per comprendere le ragioni di un silenzio e di una rimozione: ascoltare la viva voce dei perseguitati, leggere le testimonianze degli internati e cercare di capire i perchè di questo negazionismo ufficiale è certamente un’esperienza meno impersonale rispetto all’assunzione di concetti ideali.

Tornando al libro invece e scorrendo questo testo così agile e leggibile mi è ritornata in mente una discussione di qualche tempo fa in rete sul concetto di normalità in ambito sessuale dove per normalità si intende comunemente l’attenersi alla regola che segue la maggioranza delle persone mentre viceversa ciò che esula dal comportamento maggioritario viene definito “fuori norma”, strano, inusuale, insolito, ecc.

Ebbene, è proprio su questa dicotomia e su questa falsariga che si muovono ed agiscono i totalitarismi in generale e le sovrastrutture: con ciò intendo non solo lo Stato ma tutti i sistemi di controllo sociale che si basano sulla normalizzazione della sessualità (la religione di massa, ad esempio).

L’attinenza e la conformità ad uno stereotipo (il comune modello etero e fecondante) permette infatti ai sistemi sociali di disciplinare e organizzare gli individui e di controllare una materia così caotica ed informe come la sessualità.

Il concetto di normalità sessuale assunto e propagandato dall’alto per irreggimentare le persone è in realtà un concetto totalmente fasullo, arbitrario ed artificiale, del tutto assente in natura oppure fortemente minoritario o ancora destinato alla sola riproduzione: nel regno animale infatti l’adattabilità e la possibilità di avere una sessualità multiforme sono caratteristiche assolutamente necessarie per la sopravvivenza delle specie e più in generale della vita sulla terra.

Qualunque intenzione moralizzatrice o eteronormativa esercitata dagli umani sugli esseri animali è impossibile da agire: la naturalità dei comportamenti sessuali infatti è totalmente esente da sovrastrutture artificiali.

E’ al contrario proprio questo tipo di azione ideale (morale) del tutto peculiare dell’essere umano a produrre nelle nostre società un’insieme di regole in cui incasellare e stereotipare i ruoli e gli atteggiamenti erotici creando non solo una mancata naturalità ma anche disagi, patologie, devianze e conflitti all’interno delle comunità umane e nei singoli.

Affermo ciò in tempi di massima libertà, profondamente conscia di un’eventuale ciclicità storica e del fatto che un giorno (spero ancora molto lontano) potremmo assistere nuovamente alla chiusura dei tabarin e dei circoli omosessuali, al confino, alla diffida, all’ammonizione se non addirittura alla deportazione delle persone considerate “diverse” in quanto non eteronormative.

E sostengo a gran voce che la normalità sessuale non esiste proprio in virtù del fatto che viviamo quotidianamente, quantomeno nei paesi cosiddetti “avanzati”, una grande emancipazione mentre assistiamo continuamente a numerosi tentativi di circoscrivere questa libertà da parte delle sovrastrutture a cui facevo riferimento.

Così come per i libri “incontrati per caso” in questi giorni di viaggio ho avuto a che fare con persone reali che in un mondo sessualmente stereotipato esulano da questo concetto di normalità nella maniera più totale.

Mi capita sempre più spesso infatti di conoscere coppie etero, i classici “fidanzati in casa”, perfettamente inseriti in contesti sociali e lavorativi con “tanti progetti per il futuro” ecc.

Ebbene, molti di loro sono bisessuali, praticano bondage o addirittura sado-maso quotidianamente, si scambiano i ruoli, vivono in una “coppia aperta” ad altre esperienze ed altre persone, acquistano giocattoli erotici e giocano in maniera naturale con la propria sessualità nell’idea che la loro vita intima sia una strada da percorrere e non una regola da seguire.

Ho potuto inoltre notare che nei posti e negli ambienti dove vi è una maggiore tolleranza il concetto di “normalità sessuale” è invece totalmente rovesciato rispetto al modo comune con cui l’ho abbiamo inteso fino ad adesso: proprio in questi giorni mi è capitato di fare una visita ad un sexyshop con una ragazza conosciuta la sera precedente e di ascoltare racconti molto diretti da parte di sconosciuti sulla deviazione dalla morale sessuale comune intendendo ciò come norma e non come eccezione.

La strada naturale tracciata dai propri impulsi sessuali in queste coppie è non solo molto più aderente al concetto di piacere ma anche totalmente priva di connotazioni sia morali che eteronormative fondate sulla capacità di procreazione dei due generi maschile-femminile.

L’idea che esista una normalità sessuale è un’utopia: se vogliamo stigmatizzarla nel matrimonio dove al genere corrispondente il sesso e fondarla sul principio generativo dobbiamo essere coscienti di stare compiendo un’operazione che tralascia completamente sia tutti gli aspetti psichici della specie umana sia tutta la parte istintiva della sessualità.

Inoltre proporre una norma da seguire è non solo un’azione fasulla ma anche altamente rischiosa e possibile fonte di discriminazione nei confronti di tutto ciò che si muove oltre questa regola.

Anche in momenti storici di grande tolleranza è avvenuto questo: la massima libertà che vivevano i gay e le lesbiche tedesche prima dell’avvento del nazifascismo non ha evitato la pesecuzione nei loro confronti. Eppure la Germania in quegli anni veniva considerata “il paradiso degli omosessuali”.

Difendere e diffondere modelli differenti che tengano conto della complessità della sessualità umana è necessario: tenere sempre alta la guardia contro chi impone una norma da seguire anche in tempi non sospetti è un dovere affinchè ciò che è successo non accada mai più.

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