Stimolata da una conversazione virtuale sull’eventualità di un micro-corso sul femminismo (o i femminismi) al Feminist Blog Camp e visto il caldo insopportabile che mi sta arrecando una certa insonnia (limortacci) come al solito mi sono ritrovata nel bel mezzo della notte a ravanare random sul web. Ho trovato questo sunto lucido e puntuale di Luisa Muraro su un sito del snoq: ahahahahahah sì lo so fa ridere (motivo della risata qui) ma si sa che lei è un po’ mamma di tutt* noi e quindi ben venga.
Mi piace molto questo suo intervento anche alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni sul web, che ad un occhio inesperto potrebbe sembrare una mega-rissa ma in realtà è esattamente la pluralità di voci che una come me si aspetta da tante presenze dotate di spirito critico. A tal proposito e a quanti fanno continuamente appello a questa cacchio di “unità” di non so che vorrei dire che non ci tengo affatto, che va bene così, grazie e tante care cose.
Tornando all’articolo della Muraro aggiungo che un po’ di cultura di base non ha mai fatto male a nessuno: la cosa che colpisce maggiormente è la capacità di sintesi e di analisi di un fenomeno così vasto, anche se la differenza più evidente che la Muraro vuole rimarcare è quello tra femminismo “di Stato” e femminismo autonomo.
Ultimamente mi pare di vedere sempre più spesso in azione quello di Stato, di importazione dei paesi cosiddetti “civili”, quello delle donne taaaanto emancipate, delle svedesi libere e autonome, spesso trasformate in mito esotico per il maschio latino ma che a conti fatti la poltrona di assessore perchè tu sì e io no e se non ci arrivi da solo la parità te la faccio vedere io e beccati le quote di genere che in Italia si chiamano “rosa” (aridrànghete col rosa).
E questo è proprio un peccato perché dalle nostre parti il femminismo cosiddetto della differenza è così bello, così pieno di tante differenze per l’appunto, parla tante lingue, vuole fare la rivoluzione, rovesciare il patriarcato, emanciparsi, autodeterminarsi e chi più ne ha più ne metta, ma imporre con la legge no proprio no.
Ma poichè l’orto del vicino è sempre più verde allora le femministe nostrane son tutte brutte, racchie, represse, non si depilano e secondo me gli puzza anche un po’ l’ascella (pelosa, ovviamente).
Visto che non si vive solo di steccati e io non sono la Muraro (pur, ribadisco, trovando interessante il suo sunto) una come me riesce solo a fare la differenza tra tutto ciò che è teoria e quello che è pratica, ovvero la vita quotidiana, fatta anche di signore che leggono “Chi” alla fermata dell’autobus o di ragazze che a luglio seguono i corsi di ripetizione.
A tal proposito l’altro giorno mi è capitata questa conversazione con una femminista di 8 anni..
– “Jo, ma tu la facevi la chierichetta?”
– “Eh no io la chierichetta non l’ho mai fatta.”
– “E perché?”
– “E perché (perchè il prete era uno stronzo maschilista-dillo)..perché ero femmina.”
Sguardo corrucciato della femminista in erba, incazzatura latente, soppracciglia aggrottate. Sta per scoppiare.
– “Embèèèè? Cosa vuol dire? Ma non è giusto!”
– “Eh lo so che non è giusto, , ma il prete (era uno stronzo maschilista- e dillo!) non me la faceva fare la chierichetta. Solo i maschi potevano fare i chierichetti (e il prete era sempre stronzo e maschilista). Adesso però le cose sono diverse, i tempi cambiano, ci sono state molte persone che hanno combattuto perché tu potessi fare la chierichetta (???), e infatti se a te piace sono contenta che tu la faccia. Ti piace fare la chierichetta?”
– “Sìììì, tantissimo!”
Seguono i ricordi miei di bambina, dei compagnetti di classe che si vantavano di bere il vino della messa di nascosto e di andare ai funerali e vedere un sacco di morti (sì lo so non è bellissimo ma io ci tenevo).
Ecco, avrei voluto farlo o forse anche solo avere la possibilità di farlo ma in quanto essere di sesso femminile ero relegata d un ruolo passivo e da orante in mezzo a quelle immagini trasfigurate di madonne in nero che si inginocchiavano sui banchi di chiesa a pregare e piangere per le loro disgrazie o che sfogavano la loro competizione facendo a gara a chi urlava di più nelle canzoni.
E allora dicevamo la parità, il femminismo di Stato e quello autonomo, quello teorico e quello quotidiano, entrambe le cose o nessuna delle due.
Restano le domande, se sia giusto imporre, discutere, conquistare con la forza, sputtanare i maschietti che bevevano il vino benedetto e non è vero che l’hai bevuto, sei un bugiardo, lo voglio bere anch’io. Ma non me lo fanno fare.
Restano le mediazioni e le esclusioni. O le autoesclusioni: queste ultime mi capitano sempre più spesso, per fortuna.
Ciao Jo tutt’apposto qui.
Non so se la nonna avesse o meno ragione ma quel detto mi ha sempre impedito di interessarmi appieno di politica … autoesclusioni per l’appunto.
Tranqilla: prete o non prete qua è pieno di gente fissata col vino … anche coi preti a pensarci bene … 🙂
Grazie Matt, come stai? La nonna del tuo amico aveva perfettamente ragione, però il vino del prete me lo sarei bevuto eccome! E’ un po’ una fissazione, non ci fare caso 😀
Adoro sempre questo mix di impegno e momenti di vita…
Ah la chiesa: maestra di cieca obbedienza…
La nonna di un mio carissimo amico era solita dire “Se’l nase un putìn stupido o fa ‘l prete o fa ‘l politco” (se nasce un bambino stupido o che fa il prete o che fa il politico)…
Dàje! 😀
Dàje Jo.