Sardinna no est Italia

A questo punto suppongo che manchi solo la mia inutile voce al dibattito sull’Unità d’Italia. Presumo anche che le mie parole possano non piacere a tanti, a troppi, ma per me questa celebrazione ha il sapore della morte e della nera disperazione di un intero popolo.

Come forse qualche poveraccio saprà, ai tempi in cui s’è fatta questa famosa unitàditalia la Sardegna era già annessa da un bel pezzo: qua non c’è stato nessun Garibaldi se non di passaggio, i mille non si sono visti manco col binocolo e gli unici da cui volevamo essere liberati, guarda caso, erano proprio i borghesi savoiardi. Eravamo infatti già da diverso tempo una colonia dei SaBoia che per prima cosa avevano deforestato tutta l’isola per costruire le Ferrovie Regie (con la conseguente inarrestabile desertificazione oggi ben visibile) e successivamente con la solita scusa di far uscire noi caproni dal feudalesimo importarono quella grande invenzione chiamata proprietà privata fino ad allora sconosciuta nella mia terra (questi sardi avevano pure pretese da comunisti, poveri stronzi).

Con il famoso”editto delle chiudende” del 1820 infatti i grandi latifondisti si recintarono tutto tranne che l’aria che purtroppo non era privatizzabile e rimase a disposizione anche dei poveri. I tanti moti popolari insurrezionali per il ritorno all’antico sistema di collettivizzazione delle terre furono ovviamente repressi nel sangue, inoltre grazie alla legge contro il feudalesimo del ’31 i diritti dei feudatari furono aboliti e affinchè mantenessero i privilegi l’imposta fondiaria ai contadini fu aumentata al punto che i poveri che ancora respiravano subirono espropri e furono ridotti allo stremo.

Già nel ’47 si realizzò la fusione giuridica tra Sardegna e Piemonte che quella borghesia e nobiltà ex feudale non vedeva l’ora si realizzasse con incredibili possibilità di arricchimento grazie anche ai nuovi orizzonti che si profilavano con gli ideali dell’unitàditalia. Ma infatti PER FORTUNA che quest’ultima è stata realizzata, giusto in tempo per farci sentire meno soli nello sfruttamento; purtroppo però alcune fasce della popolazione, in particolare la stragrande maggioranza che era rimasta senza nulla e non sapeva di che vivere, resisteva e andava a formare quel fenomeno chiamato “banditismo” del resto ampiamente foraggiato e supportato da tutti e da tutte fino a tempi molto recenti.

Infatti è grazie all’unificazione con il resto dei miserabili d’Italia che i padroni hanno deciso di fare le guerre per poterci irreggimentare tutti: chi non aveva di che mangiare crepando nelle miniere sarde di proprietà straniera si arruolava e se era fortunato e non si faceva ammazzare al fronte riusciva pure a scroccare il rancio del soldato. Addirittura furono creati dei battaglioni appositi per i poveracci sardi, roba tipo “Granatieri di Sardegna” o “Brigata Sassari” per farli sentire meno carne da macello e più partecipi delle sorti di una patria che non era la loro.

(Nel frattempo un anarchico di nome Gaetano Bresci ebbe la pessima idea di uccidere quel galantuomo di Umberto I, con sommo dispiacere della popolazione sarda che amava molto i Savoia e di cui è rimasto tutt’oggi un buon ricordo: dalle mie parti infatti la parola “boia” è tradotto con “buzzinu”la cui etimologia è da ricercare nel nome di Giovanni Battista Lorenzo Bogino.)

E mentre la repressione nell’isola si compiva le idee sardiste e federaliste ma anche anarchiche, socialiste e marxiste si propagavano tra la popolazione: personaggi come Lussu furono solo la parte più conosciuta dell’antifascismo isolano e ben fecero ad opporsi tant’è che il ventennio di Mussolini rinnovò la condizione coloniale dell’isola soprattutto dal punto di vista della depredazione delle materie prime e umane.

Ma è stato soprattutto dopo la seconda guerra e con l’avvento della repubblica che la mia isola ha conosciuto il periodo più fiorente: non sapendo che fare di questo territorio in mezzo al mare né dei suoi schifosi abitanti giustamente ci è stato fatto pagare il prezzo della servitù militare: 35 mila ettari tra basi Nato, poligoni di tiro e aeroporti militari con conseguente spopolamento delle zone colpite, aumento delle incidenze tumorali e delle morti fino ai livelli di Chernobyl.

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Le rivolte a questo stato di cose sono passate per lo più sotto silenzio (vedi rivolta di Pratobello) così come anche la ribellione decennale e a tutt’oggi confermata, sempre nel centro dell’isola, alla costituzione dei famosi parchi nazionali in territori già protetti da millenni e in cui l’essere umano FA PARTE della natura, idea originale affinchè la popolazione infine si suicidasse in massa e la smettesse di esistere ancora.

La ciliegina sulla torta è stato l’omicidio dell’economia isolana basata da secoli sulla pastorizia, cosa nella quale non era riuscito mai nessuno prima dello Stato Italiano (complimenti vivissimi). Oltretutto è stata importata l’industria chimica, un’altra idea geniale, visti i costi di trasporto da e per l’isola che ha dato i suoi tanti numerosi frutti nel corso dei decenni.

Invece, purtroppo e contrariamente alle previsioni, siamo rimasti in 4 gatti ma ancora respiriamo, sembra incredibile ma siamo vivi! Adesso pare che ci vogliano far fuori col nucleare, ma ogni giorno c’è una novità dai colonizzatori e nessuno si stupisce più di nulla.

Del resto festeggiare questi 150 anni di unitàditalia ci viene spontaneo e naturale, ci sgorga proprio dal Quore: l’intera storia, cultura, lingua dell’isola non ha veramente NULLA a che vedere con il resto della penisola, ma neppure la più piccola briciola. Ma tanto ha poca importanza, tutto quello che caratterizza la nostra identità è stato sempre minimizzato, indebolito e nascosto volontariamente per tenerci sotto il giogo, le hanno tentate proprio tutte, perfino occultando i ritrovamenti archeologici o facendoci vergognare per la nostra ricchezza etnica, linguistica e le nostre tradizioni.

Ogni volta che si parla di indipendentismo in Sardegna poi son grasse risate, del resto basterebbe pensare all’Irlanda o a Malta che sono sempre isole ma se la cavano bene per cambiare idea..ma forse abbiamo ancora qualcosa (dicesi turismo di massa) per cui essere ancora spremuti e perseguitati. Il giorno in cui mancherà anche quello chi lo sa, potremmo forse tornare liberi di essere noi stessi e decidere per conto nostro, potremmo uscire da quello che anche una persona non sarda ma lungimirante come De Andrè aveva chiamato “riserva indiana”, riconoscendoci la stessa identica oppressione di popoli più lontani.

Non mi interessa assolutamente niente né dei leghisti (chi sono?) né dei meridionalisti né dei discorsi sull’unità dei popoli. Per dirla in breve: Carlo Pisacane mi fa un bidet, ma non perché io non abbia rispetto per la sua persona morta e sepolta né per le sue idee ma perché gli eroi non mi piacciono minimamente e sono stanca dei fan di questo e quell’altro, Che Guevara o Bakunin inclusi. Io non tifo per nessuno, non organizzo squadre e non indosso uniformi né etichette, a me i discorsi sulla liberazione da esportare o importare non sono mai piaciuti, ognuno sceglie per sé e se non la cosa non aggrada la soluzione è sticazzi.

Qua non si tratta di scegliere tra Spagnoli o Savoiardi nè tra feudalesimo o borghesia e neppure tra Stato e anarchia e tra orgoglio nazionalista o universalismo; il discorso non è affatto questo. Qua manca, è sempre mancato un diritto fondamentale: quello all’autodeterminazione di un popolo nelle sue infinite varianti regionali, linguistiche ed etniche. Un diritto che è sempre stato negato, misconosciuto e calpestato con l’intento di non farlo conoscere e soffocarlo per sempre.

Nessuno si spaventi quindi se molte persone nell’isola non saranno entusiaste all’idea di festeggiare l’unitàditalia ed anzi si sentiranno oltraggiate da questa festa che ancora una volta, per l’ennesima volta, ricopre la storia di una vergognosa colonizzazione con gli inni e le parate di baionette. Perchè come si dice dalle mie parti “Sardinna no est Italia“, la Sardegna non è l’Italia.

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Lamentazione

E’ un po’ di tempo che la zia Jo vive una fase di brontolìo: passerà, mi ripeto, ma poi non passa.

Detesto brontolare, lamentarmi e borbottare come una pentola di fagioli e non ho un rimedio valido se non quello (arcinoto) di mettere le cose per iscritto. Mi voglio lamentare pubblicamente, insomma, e chi s’è visto s’è visto.

Il primo motivo della lamentela e dello scontento direi che è dovuto alla mia enorme difficoltà nel reperire notizie serie a causa del mainstream massmediatico che ormai nella mia mente ha preso la forma di un grande scudo spaziale assolutamente impermeabile a qualunque avvenimento che copre l’intera fascia dalle Alpi a Lampedusa. Non si riesce a bucare la copertura delle notizie manco con un raggio missile con circuiti di mille valvole né “dal basso” né “dall’alto”.

Con l’espressione “dal basso” intendo quegli avvenimenti locali (non la cronaca nera/splatter che invece dilaga ovunque in nome del babau-paura-sicurezza) che fanno veramente la POLITICA in questo paese (paese volutamente minuscolo), non solo la Tav o le discariche in territorio campano che si trovano già sotto i riflettori ma anche il caso di Quirra nella mia isola, Siracusa in Sicilia ecc.

Io le chiamo anche non-notizie perché nessuno a livello nazionale le conosce e vengono sistematicamente e volontariamente coperte da qualcos’altro di minore importanza ma che possa distrarre in maniera quasi registica la gente. Per trovare le notizie “dal basso” e capire come stanno andando veramente le cose bisogna setacciare i quotidiani regionali e provinciali: praticamente un lavoraccio.

Con notizie “dall’alto”(sempre nell’immagine dello shcudo spazzialo che mi sono fatta)  voglio comprendere invece le notizie che provengono soprattutto dall’estero e che non riescono ad entrare nel circuito dei media italioti: un esempio su tutti la rivolta in Croazia o quelle in Usa (ne parla Valerio Evangelisti qui).

Ci si occupa della Libia ma di tutto il resto chissenefrega: è evidente che il liberismo sta raccogliendo le dovute conseguenze in tutto il mondo ma in questo paese (sempre volutamente minuscolo) siamo assolutamente incapaci di raccontarlo. Può sembrare assurdo ma mi sono ridotta a dare almeno una lettura veloce al giorno a media generalisti stranieri, anche le Monde o El Paìs sono mille volte più informati su ciò che accade nel mondo dei quotidiani nostrani.

Mentre da una parte, ossia per le notizie locali, ravviso una precisa volontà di voler censurare le notizie in questo caso ho invece la precisa sensazione che ci sia un’incapacità di fondo dei nostri media nel riuscire a riportare ciò che accade tutto intorno a noi: chiamiamolo “bavaglio per pigrizia” e facciamo prima. Del resto perché occuparsi di TANTO altro se a casa propria c’è il bunga bunga? E’ un argomento talmente interessante…

Altri motivi di brontolaggine coatta riguardano certamente l’attivismo in rete, e i canali di informazione alternativa. Chi ha la pazienza di seguire codesto blog sa che ho cominciato a tradurre qualche testo di genere dalla rivoluzione tunisina, un po’ per curiosità visto che le donne tunisine erano note per essere le più emancipate dell’Africa (le uniche ad esempio ad avere il diritto all’aborto nella regione) un po’ perché ero stanca di guardare al mio ombelico, che per quanto mi dicano sia meraviglioso è sempre quello e m’è venuto a noia.

Procedendo in questa direzione ho trovato buona compagnia nelle sorelle di Femminismo a Sud e questo, scusate se è poco, lo trovo già un ottimo risultato, oltre ovviamente ai testi che pian piano stiamo traducendo e che parlano dei sogni, delle aspettative e delle speranze di queste donne, così lontane ma anche così vicine a noi.

Con grande emozione ed entusiasmo siamo riuscite a creare dei contatti, abbiamo gettato un ponte, qualcosa su cui costruire sorellanza e “bucare” la copertura sulle rivendicazioni di genere. Ma a parte noi che ci siamo poste in maniera diretta e orizzontale e i mediattivisti come Infofreeflow e il progetto Autistici che ci ospita, che hanno capito DA SUBITO l’importanza di ciò che stava accadendo e cercato di stabilire un legame di massima collaborazione con chi sta agendo la rivoluzione direi che fino a quest’ultimissimo periodo in cui comincio a leggere diversi pezzi che fanno riferimento a fonti dirette stavamo un po’ a zero.

E non perché l’argomento non sia stato trattato, anzi, un po’ ovunque è stata espressa solidarietà (e anche scetticismo talvolta) nei confronti dei popoli in lotta ma in questi mesi ho letto soprattutto tante, troppe ANALISI.

Questa è una cosa che mi è sempre piaciuta poco, l’analisi prevede sempre un distacco, un guardare dall’esterno, una mancata compartecipazione di cui io difetto quasi totalmente così come difetto di qualsivoglia tentativo di colonizzazione intellettuale (italiota o europea) basata su teorie e non su riscontri oggettivi: tanto è tutto inutile, manco chi la sta facendo ‘sta cazzo di rivoluzione sa dove andrà a parare, anzi molti di loro si stanno formando ora una coscienza politica.

E poi ovviamente c’è tutto il resto di cui lamentarsi, basta guardarsi attorno: riuscire a trovare qualcosa di positivo in questa società capitalista e consumista è di una difficoltà estrema, almeno per quanto mi riguarda. Anzi, a tal proposito e visto che è appena passato l’8 marzo: auguri a tutte le donne, adesso possiamo anche dedicarci a produrre spettacolo in stile “CSI-scena del crimine”, che meraviglia.

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The untouchables o gli argomenti tabù

Vista l’aria di pesantezza (dovuta ad amare considerazioni sugli avvenimenti italici di questi giorni) che si respira da un po’ di tempo a questa parte in questo blog ho deciso di tornare alle mie vecchie ricette di economia anti-domestica e anti-sociale. Prendendo spunto da una bellissima conversazione telematica (riportata qui) ho deciso di stilare una classifica provvisoria degli argomenti INTOCCABILI da non trattare mai durante le cene con conoscenti, alle orge del bunga bunga, in fila alle poste, a una riunione di condominio, in una milonga mentre ballate il libertango di Piazzolla e in altre occasioni amene dove le brave ragazze hanno modo di incontrare altri mammiferi consimili.

Le categorie di gruppi umani qui descritte sono chiaramente fittizie in quanto nessuna persona, per quanto deplorevole essa possa sembrarci, può essere etichettata sotto il concetto di “categoria”. Prima di offendere GRATUITAMENTE e con facile sarcasmo circa l’80% delle persone che conosco ricordo anche che chiunque tenti di censurarvi per le vostre idee e opinioni facendovi terra bruciata attorno e chiunque appoggi o giustifichi questo tipo di comportamento resta sempre e comunque un inutile ed emerit* testa di cazzo.

ARGOMENTI TABU‘:

-Sarebbe troppo facile fare migliaia di esempi dello stesso tipo sui seguaci dei guru politici e dei personaggi in vista quindi li riassumerò in un unico grande gruppo. Vale quindi la regola base che il guru, che è sempre PADRE spirituale, non va mai criticato. Vendola non va mai contestato con i vendoliani, Grillo coi Grillini, pannella coi Radicali, Massimo Fini con i finti liberali, Gandhi coi pacifisti, Saviano con chiunque e così via.

-Con le persone credenti o religiose ovviamente se siete delle luride miscredenti eviterei di parlare di DIO e di ogni parola che abbia tre lettere. Girerei al largo anche dai discorsi culinari tipo “il maiale” mentre siete impegnate in amabile conversazione con i musulmani e di argomenti come contraccezione, procreazione assistita e fine vita con i cattolici. Non impelagatevi a fare domande sull’amicizia di Wojtyla con Pinochet né su come facesse Madre Teresa ad aiutare i malati se non era medico perché potreste beccarvi una scomunica o una fatwa, cosa che, se siete disoccupate, potrebbe aggravare le vostre già precarie condizioni psicologiche. Basta un po’ di buon senso in questo caso, ci sono mille altri argomenti di cui conversare, tipo le condizioni meteo: potreste scoprire che cirri e cumulonembi sono un tema molto affascinante.

-Con i piddini gli argomenti critici sono decisamente TROPPI. Proverò ad elencarne alcuni: Benigni, la tv come arma di distrazione di massa, i giornali di sinistra (LaRepubica, L’Unità), i libri della Mondadori e le aziende di Berlusconi, Marx, i CIE , il sessismo e la mercificazione del corpo delle donne a sinistra, Concita de Gregorio, il conflitto d’interessi di Berlusconi, Fabio Fazio, la liberalizzazione delle droghe, il veltronismo, Craxi, il PCI, Umberto Eco che legge Kant prima di andare a letto, i blogger di sinistra, Marco Travaglio, i magistrati di mani Pulite, Nichi Vendola, Santoro, i dittatori e la politica estera, papa Wojtyla, l’immigrazione, D’alema che bombarda la ex Iugoslavia, Enzo Biagi, il liberismo, il matrimonio delle coppie omossessuali, la Feltrinelli, Che Guevara, la Coop, Jovanotti, le prove ontologiche dell’esistenza di dio, la trivialità di Luciana Littizzetto, facebook come unico mezzo d”informazione e ovviamente l’immancabile Saviano.

-Con i radical chic invece si può parlare di TUTTO. Dopo le presentazioni potete esordire perfino con “stamattina ho fatto la cacca dura dura”, non solo passerete per delle originali ma ci sarà certamente tra i presenti un simpaticone che allieterà la compagnia citando tale libro sugli escrementi scritto da un ignoto autore birmano. Eviterei però, pena l’esclusione e il bando a vita, di parlare di argomenti POPOLARI o tendenti verso il commerciale. Non dite mai che il vostro cantante preferito è Albano né che guardate X Factor in tv, che bevete Tavernello e che non sapete in quale squadra giochi Truffaut tanto per fare qualche esempio, anche se non è così e vi è solo venuta una crisi isterica. Ovviamente mai accennare al fatto che a furia di voler essere diversi a tutti i costi dalla massa ci si massifica inevitabilmente.

-Con i carnivori e viceversa con i vegetariani: attenetevi sempre ad una gelida indifferenza e non fate domande. Purtroppo in alcuni tipi di situazioni estreme come la compresenza di entrambe le tipologie umane sopracitate la calma è uno status difficile da mantenere in quanto il carnivoro, forte del suo concetto di normalità e della forza numerica dei consumatori di carne nonché spinto da un atavico senso di colpa, tenderà a rompere i maroni al vegetariano con domande vacue e inutili tipo “ma come fai a non mangiare la carne?” In questo tipo di circostanze mantenete la calma e cercate in tutti i modi di dirottare il discorso su altro, volendo potete anche improvvisare un samba o un attacco di gastroenterite. Mai e sottolineo MAI rispondere ad un carnivoro con la frase “ma se ami gli animali come sostieni poi com’è che te li mangi?” perché in tal caso vi state condannando all’isolamento coatto.

-Nei collettivi: mai accennare alla presenza di sessismo, razzismo e specismo all’interno dei collettivi. Ci saranno sempre uno o più negazionisti che penseranno malissimo di voi e vi isoleranno convinti che siate delle provocatrici o delle infami. Mai criticare pubblicamente i modi arroganti, il machismo, la gerarchia né il/la capetto di turno nel caso doveste ravvisare questo tipo di atteggiamenti. Mai contestare l’espressione “Stato borghese” a qualcuno che mentre si infervora di spirito rivoluzionario sventola l’N70 della Nokia nella mano e ha le Nike ai piedi. Altri argomenti tabù possono essere ovviamente Fidel Castro, Mao, Stalin, talvolta la guerra di Spagna, George Orwell e tutte le rivoluzioni comuniste e socialiste sfociate nella repressione e nella dittatura. Infine se non volete essere scomunicate per sempre mai criticare Chavez o prendere le difese del popolo ebraico quando capite che il contesto nel quale vi muovete è confuso tra antisemitismo e antisionismo.

Nel prossimo post: il brodo di pollo tra tradizione e modernità, il cavolfiore stufato  con le olive e tutti i consigli della zia Jo per passare un pomeriggio romantico al pronto soccorso, non perdetevelo!

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Dalla Tunisia 2

Seppure i principali media italiani non ne abbiano dato notizia in quanto troppo impegnati nella cronaca del bunga bunga SOLAMENTE da un mese e mezzo, sabato19 febbraio si è svolta a Tunisi la marcia per la laicità. Erano presenti diverse migliaia di persone, in maggioranza donne e il corteo ha avuto un ottimo successo nonostante sia stato preparato in un solo giorno: infatti è nato come reazione spontanea all’omicidio di un sacerdote e al tentativo di incendio in una via frequentata da prostitute.

L’ INDIGNAZIONE, invece di attendere che qualche guru mediatico ne facesse uno strumento per spostare masse di voti e prima che venisse montata ad arte, è sorta INCREDIBILMENTE in maniera del tutto spontanea e sfociata ad un solo giorno di distanza dagli avvenimenti in una manifestazione colorata e gioiosa contro il fanatismo, per ricordare al governo di transizione che il popolo ha lottato anche per la laicità, affinchè gli estremisti religiosi violenti siano isolati e circoscritti.

Le donne in particolar modo, dopo gli attacchi subiti da questi folli nella “marcia delle gelsomine” di fine gennaio, chiedono che non venga dato alcun tipo di spazio tra le forze politiche agli integralisti: non solo essi vengono accusati di non rispettare le donne in alcun modo ma anche di essere tra i principali fruitori della prostituzione femminile (paese che vai, ipocrita che trovi..) salvo poi voler compiere azioni punitive “pubbliche” per rimarcare la loro purezza e la loro misoginia spacciata come virtù.

Mi fa un enorme piacere poter constatare che le notizie giunte dal mainstream dei nostri media con il corollario dei timori di Maroni sui tunisini siano tutte delle ABNORMI CAZZATE e che il fervore intellettuale di un paese che si sta costituendo è vivo, partecipe e vigile: del resto non potevo aspettarmi niente di diverso da chi ha appena cambiato la propria storia con un atto di volontà popolare.

Certamente la loro soglia d’attenzione e la loro capacità d’intervento è superiore alla nostra che rasenta lo zero come sappiamo tutti, poiché in Italia il massimo della rivoluzione è parlare male di Berlusconi su facebook. Non sono neppure tanto certa che se una manica di folli crociati avesse tentato di appiccare un incendio contro delle prostitute indifese saremmo scesi tutti in piazza a protestare. Anzi, probabilmente sarebbe successo il contrario, avremmo difeso gli integralisti, ma si sa che io sono una donna molto cattiva e malpensante.

Il prossimo appuntamento per le donne tunisine è ovviamente per l’8 marzo.

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La Storia a metà

Probabilmente non sono l’unica a provare nostalgia di quell’infanzia legata ai banchi di scuola, all’odore dei quaderni nuovi, alle matite appena temperate, alle gomme da cancellare. Di quelle mattinate spese ad ascoltare lezioni spalmati sulle sedie e sui banchi, ad imparare nozioni, ore ed ore ad ascoltare Storia e storie di gente morta e putrefatta da tempo immemore che però ha lasciato visibile traccia nei libri di testo, nelle sovrastrutture in cui viviamo e nelle quali occupiamo il dato posto che ci è destinato come una casella da riempire.

La storia con la S maiuscola come Verità, mentre tutto ciò che vi si oppone in qualche modo un tentativo revisionista di alterarne la validità. Tutto vero. Oppure no.

Succede che poi inevitabilmente si cresce e del bianchetto e dell’evidenziatore talvolta ricordi a malapena l’esistenza oltre all’utilità, cominci a studiare la Storia per cavoli tuoi, parti dai racconti e dalle memorie o dalle giornate dedicate agli avvenimenti da commemorare e finisci per fare un giro sempre più largo, fino a trovarti davanti ad eventi storici con la s minuscola che neppure immaginavi. Tanti, pure troppi.

Il 19 febbraio ad esempio da qualche altra parte del mondo (non l’Italia, ovviamente) è altamente probabile che si terrà una commemorazione in ricordo dei 30.000 etiopi uccisi nel 1937 dall’esercito italiano fascista come rappresaglia per l’attentato a Rodolfo Graziani. L’eccidio, cominciato il 19 febbraio del ’37 terminò dopo 3 giorni: per quel tempo la città fu blindata e la caccia all’uomo, alle donne e ai bambini fu garantita grazie alla collaborazione dei carabinieri e della comunità italiana. Addirittura, poiché i plotoni di esecuzione e la gente comune con gli strumenti che aveva in casa (mazze, coltelli, ecc) non potevano bastare ad effettuare il genocidio, si utilizzarono le mitragliatrici pesanti.

Qualcuno potrebbe obbiettare che i colpevoli erano tutti fascisti ma nel leggere i racconti direi che il mito dell’italiano “brava gente” crolla miseramente: non ne farò una questione di destra o di sinistra, a me questi discorsi sembrano sempre più una giustificazione dell’italiano buono contro lo straniero cattivo. Che è più o meno lo stesso schema che ci ripetiamo continuamente quando precipita il classico aereo “ma per fortuna non è morto nessun italiano” e allora chissenefrega. Oppure quando la carovana che è partita da Sharm, nota località turistica fondata dai nostri compatrioti grazie all’ausilio delle bombe per costruire la spiaggia, è stata sequestrata per intero e, putacaso si riscontri la presenza di qualche oriundo italico, allora sono certamente titoloni di giornale, giornate di cronaca e attesa e preoccupazione.

E questa giornata della memoria sui martiri delle foibe non è da meno, ricordare i propri morti (forse 6000?) va sempre bene in questo paese, ma ricordare 15.000 sloveni trucidati no. Ricordare i lager fascisti, le pulizie etniche, l’utilizzo delle armi chimiche per decimare la popolazione non si può, noi siamo sempre belli, bravi e buoni. Gas iprite? Arbe Rab? Non pervenuti. Non esistono questi ricordi nella storia italiana, sono stati accuratamente e volutamente cancellati.

Qualcuno potrebbe ancora obbiettare se possa avere un senso ricordare tutto questo, dopo tanto tempo trascorso, se non sia il caso di lasciare le cose come stanno visto e considerato che una Norimberga italiana non c’è mai stata né mai ci sarà.

Ed allora mi rifiuto di commemorare qualunque cosa nella giornata della memoria X o Y riservata a noi italiani, nessun ricordo per nessuno, non vale la pena ricordare le cose a metà, insegnare e tramandare una storia falsata e chiaramente parziale.

Tutto questo mi viene in mente in previsione delle grandi celebrazioni sui 150 anni dell’unità d’Italia, la cui storia di unificazione è stata manipolata ad arte, in cui centinaia di migliaia di morti saranno taciuti e occultati dalla storiografia ufficiale che vede prevalere gli eroi risorgimentali sacrificatisi per l’ideale della Nazione. I patrioti italiani brilleranno di luce propria nei giorni a venire poiché si sono immolati per la causa, mentre di quelli che l’unità non la volevano non sarà fatta menzione.

Ma su queste celebrazioni e sulle tante perverse eredità che lo stato italiano ha lasciato e continua a lasciare in particolare alla mia terra, la Sardegna, avrò modo di tornare in un prossimo post.

http://www.youtube.com/watch?v=2Nf15d90jmg

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Saper ascoltare anche i NO

In questi giorni sono stati sprecati veri e propri fiumi d’inchiostro (virtuale o reale) sulla partecipazione ai cortei e agli eventi legati al famoso 13 febbraio, partiti dall’indignazione chiosata e sbandierata nei ben noti appelli di presunti giornali di presunta sinistra da sedicenti donne libere.

Non voglio aggiungere nulla a questo brainstorming (c’è addirittura chi si è reso conto solo ora che la questione poteva essere oggetto di dibattito, mah!) e non voglio riassumere contenuti già espressi.

E’abbastanza chiara la posizione di chi ha deciso di sottolineare la strumentalizzazione delle donne da parte di alcuni partiti politici che contemporaneamente all’ondata di sdegno sorta dal Rubygate presentano disegni di legge per limitare la libertà femminile oppure ancora da parte di media che ugualmente cavalcano il risentimento popolare sul suddetto scandalo e allo stesso tempo promuovono sessismo e mercificazione del corpo femminile da decenni, esattamente come la controparte mediatica che affermano di combattere. E’ altresì chiara la posizione di chi decide di non voler sottostare ad un’indignazione costruita ad arte, utile solo a spostare masse di voti ma non sorta spontaneamente dal movimento delle donne, la cui evidente scollatura si manifesta apertamente negli inviti alla partecipazione basati sulla separazione tra “sante e puttane” di “concitiana” maniera.

L’unica cosa che, a mio modo, vorrei rimarcare in tutta questa enorme e recente produzione è la presenza di moltissimi NO all’andare in piazza, all’adesione e alla partecipazione. NO nonostante tutto, nonostante gli aggiustamenti, i ritocchi e le rimanipolazioni agli appelli, nonostante i dietrofront, i rattoppi, le provocazioni. NO forti, chiari e decisi espressi da personalità ed enti (cito fra tanti UDI) che hanno fatto la storia delle donne e che in molti si ostinano a non voler comprendere.

Eppure questi NO che tanto fanno discutere andrebbero presi in considerazione come parte fondamentale del movimento delle donne, i pareri discordanti e diversi hanno sempre segnato la nostra storia: anzi, come sostengono alcuni, la disparità di vedute è sempre stata il motivo più evidente di debolezza e sconfitta e probabilmente è tutto vero.

Vero è anche che questi rifiuti, queste assenze ingombranti, questo non “volerci stare”a tutti i costi ci caratterizzano sempre più come “rete” e non come branco o identità monolitica e monocolore, logica alla quale non siamo mai volute sottostare e che ancora non fa parte del nostro modo di concepire la lotta contro il patriarcato. La pluralità dei femminismi e dei punti di vista è sempre stata un vanto e non un errore, per quanto mi riguarda; l’idea di procedere come una mandria di bisonti a testa bassa verso obiettivi effimeri o fittizi o il cavalcare sentimenti popolari migrando in massa come uno stormo di anatre per trovare un posto al sole è una cosa che fortunatamente non ci appartiene e che abbiamo sempre lasciato come prerogativa ad altri movimenti di matrice marcatamente sessista, dove l’unico obiettivo possibile sembra più che altro il far fuori il nemico di turno che verrà in seguito sostituito da un altro e un altro ancora all’infinito, pur lasciando la situazione sostanzialmente immutata.

L’ottusità con cui la maggior parte del genere maschile continua a voler convivere e che trova espressione nel silenzio e nella continua delega al genere femminile di problemi che riguardano l’intera società mi è molto familiare, sia nel continuo accusare le donne di creare presunti “orticelli”mentre il problema maggiore sarebbe in realtà rappresentato e incarnato dalla sola persona di Berlusconi, sia nell’accusa di inazione nel rifiutarsi di essere obbedienti alle logiche della piazza che richiede di saper invece sfruttare l’occasione, il momento opportuno.

Ciò che invece trovo più difficile da capire è la mancata comprensione di questi NO da parte delle donne, specialmente quelle afferenti a partiti politici o associazioni o sindacati ad essi legati che, come se si stessero svegliando da un lungo sonno, rifiutano aprioristicamente questi NO oppure tendono a minimizzarne la portata.

Oltretutto non mi è ben chiara questa enorme responsabilità attribuita ad una singola giornata di piazza se non in un’ottica di suprema manifestazione corale delle volontà profuse dalle manifestanti in questi anni. Anzi, oserei dire che la partecipazione a questa data imposta potrebbe ad un primo acchito sembrare quasi vitale per l’intero movimento delle donne: l’esperienza invece insegna che è la quotidianità dell’impegno ad aver sempre fatto la differenza e lo stare in piazza solo una dimostrazione di visibilità collettiva. Mi auguro che sia fuor di dubbio almeno il fatto che in piazza non ci sarà un riconoscimento né un indennizzo ufficiale per la presunta dignità perduta e che non vi saranno certo ringraziamenti né deleghe da parte delle donne assenti, la maggior parte per intenderci, ossia quei milioni di donne che il 13 continueranno la loro vita come se nulla fosse, totalmente incuranti e probabilmente anche disinteressate alla tematica dell’onore da salvaguardare vs. Berlusconi o il cattivo di turno.

E’ oltretutto una convinzione totalmente errata che quei NO possano arrecare un qualche tipo di danno alla causa della dignità femminile, direi piuttosto che contrario alla questione potrebbe risultare invece un certo tipo di atteggiamento riscontrato da più parti all’interno di quei raggruppamenti politici di cui sopra e delle sue rappresentanti femminili: certamente l’ipotesi di partecipare ad un corteo urlando slogan sessisti, incitando al linciaggio verbale tramite gli insulti alle donne coinvolte negli scandali del premier, assumendo in generale una modalità da branco e piegandosi volontariamente a logiche maschiliste sarebbe quantomeno deleterio nei confronti dei valori che invece si dichiara di voler difendere.

Inoltre quei NO che sono stati espressi fino alla vigilia delle manifestazioni del 13, una volta scemato l’entusiasmo dell’andare in piazza e riconoscersi in qualche modo come movimento, una volta che sarà finito questo inutile baccano e questo ciarpame mediatico si trasformeranno in SI’, in presenze quotidiane che combattono tutti i giorni sessismo, discriminazioni, violenza sessuata, limitazioni della libertà. Battaglie che vanno combattute innanzitutto per noi stesse, completamente immerse e sommerse da un mondo patriarcale a cui cerchiamo di ribellarci ogni volta ma con modalità che ci sono proprie, autentiche, libere da regole altre e da contenuti non nostri.

Spero solo che una volta fatto fuori il nemico si abbia il coraggio di prendere una posizione decisa, di pretendere finalmente quei diritti fondamentali che finora sono stati disattesi o ignorati, che si rifiuti il sessismo a prescindere dalla forza politica che salirà al potere e di boicottarlo in tutti i modi, fosse pure evitando l’acquisto di prodotti che hanno sdoganato immagini o comportamenti lesivi della dignità femminile o anche solo con il semplicissimo gesto di spegnere la televisione.

Spero che l’indignazione tanto sbandierata non ceda mai il passo quando si subirà veramente la discriminazione nella vita di tutti i giorni, nelle parole e nei gesti di chi, uomo o donna che sia, tenterà di limitare la nostra libertà in maniera del tutto legale: nei consultori e negli ospedali gli obiettori sono già legalmente in maggioranza, nei Cie legalmente si detengono donne e legalmente i tentativi di stupro non sono puniti, nelle strade legalmente vengono arrestate o schedate le prostitute ma non i clienti, nel parlamento legalmente vengono proposti disegni di legge per smantellare i centri antiviolenza e così via.

Spero che alla fine, chi vuole aderire a tutti i costi alla manifestazione del 13 lo faccia in maniera critica: sono tante e variegate le forme di protesta “pensante” che si muoveranno domenica e riassumerle qui sarebbe impossibile, segnalo però la critical mass degli ombrelli rossi che si terrà in varie parti d’Italia e l’appello di Femminismo a Sud al riguardo che vede l’unità di donne “perbene” e donne “permale” non come semplice aggregazione ma come proposta di ascolto delle tante voci del movimento, che come i NO sono ricchezza, sono voci di donne.

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Dalla Tunisia

Ci sono molte ragioni per cui stare a considerare la conservazione di questo o quello scritto piuttosto che di quell’altro ancora non ha molto senso, specialmente in una società come la nostra infarcita di social network e milioni di blog e siti in un flusso continuo, costante ed inarrestabile. Eppure ogni tanto bisogna pur fermarsi ed in questo caso è toccato a me mettere un attimo lo stop e fare questa traduzione (riuscita malissimo ma si fa quel che si può, abbiate pazienza).

Ed anche qui i motivi per cui rallentare un attimo il getto continuo di informazioni potrebbero essere parecchi ma mi limiterò ad affermare che i cambiamenti in corso in alcuni paesi arabi valgono la pena di essere raccontati o quantomeno tradotti, seppur in minima parte vista la produzione sconfinata degli ultimi tempi. Altra ragione fondamentale è che del femminismo tunisino (rispetto agli storici movimenti femministi egiziani ad esempio) si conosce molto poco. Infine, motivo ancora più determinante, Lady Losca ne desiderava la traduzione.

Ringrazio Luna (che in quanto provvisoriamente emigrata ha uno sguardo più ampio sul mondo rispetto a noi poveracci avvolti dal bavaglio bungamediatico) per avermi fatto conoscere questo articolo e per le immagini suggerite che troverete in questo gruppo facebook.

Noi tunisini viviamo, dopo il 14 gennaio in particolare, giorno che ha visto la caduta di Ben Ali grazie alla volontà popolare, in un’atmosfera di fermento e confusione che facilita ogni tipo di eccesso ma fa anche emergere molte speranze. Dopo questa data, la repubblica democratica che abbiamo sognato per tanti anni, per la quale uomini e donne si sono impegnati nella battaglia politica e liberale e per la quale sono morte, ormai più di un mese fa, molte decine di giovani tunisini, sembra a portata di mano.

Ma oggi nelle strategie per raggiungere questo obiettivo e nel profilo da assegnare alla Repubblica democratica di Tunisia sono presenti numerosi ostacoli e pericoli.
Durante tutto il processo che ha portato al 14 gennaio infatti le donne sono state molto attive nei sindacati, nelle manifestazioni, nelle associazioni e nei partiti politici. Eppure ci sono pochi ministri donna nel governo di transizione attuale al di fuori del tradizionale ministero delle donne e, novità assoluta, nel ministero della cultura. Esse sono anche molto poco presenti nei dibattiti televisivi. Nei discorsi pronunciati dopo il 14 gennaio, durante i dibattiti organizzati dai canali televisivi o nelle conferenze stampa, la questione della cittadinanza paritaria delle donne non è mai stato posta. Ci piacerebbe credere che il motivo sia dovuto al fatto che, considerato il ruolo che hanno occupato nel movimento le donne di ogni età e soprattutto quelle giovani, la questione della loro cittadinanza e della loro parità appaia come un’evidenza. Alcuni indicatori, tuttavia, sembrano dimostrare il contrario.

Quando si è trattato di organizzare comitati di quartiere, le donne non sono state sollecitate alla partecipazione oppure lo sono state molto poco poiché hanno mostrato la loro determinazione e il loro coraggio nei vari movimenti e particolarmente in strada. Esse ne hanno anche pagato le conseguenze sotto forma di violenze specifiche che hanno subito in gran numero durante le manifestazioni da parte degli agenti (tirate di capelli, insulti di carattere sessista, molestie fisiche e si è anche parlato di stupri), nei posti di polizia ed anche nelle case in cui si sono introdotte le forze della repressione in certe regioni del paese. Queste violenze sono appunto specifiche poiché sono state esercitate sulle donne in quanto donne, e tuttavia nessuno ne ha fatto cenno. Le cittadine si sono trovate immerse nelle violenze generali subite da tutto il popolo tunisino durante più di 3 settimane. Eppure, in questa rivoluzione che è stata quella della rivolta contro la violazione della dignità umana, queste violenze della polizia contro il genere femminile meritavano di essere ampiamente segnalate.

Malgrado le loro lotte, la loro presenza sulla scena politica, il loro coraggio e la loro combattività, le donne si trovano ancora una volta marginalizzate all’interno dello scenario politico in considerazione delle loro aspirazioni ad una parità reale. Questa marginalizzazione trova conferma nelle risposte che riceviamo quando rimarchiamo la scarsa presenza delle donne al governo: “vedremo dopo”, ci viene detto. Quando ci incontriamo per riflettere sul senso da dare a questo progetto di repubblica democratica e sul ruolo che le donne possono giocarvi affinché venga garantito loro l’accesso ad una piena e completa cittadinanza ci sentiamo dire, ed anche talvolta da militanti politici o femministe, che questo “non è il momento”.

Ciò è tanto più sorprendente ed anche allarmante poichè sappiamo che Bourguiba, all’indomani dell’Indipendenza, considerò come priorità assoluta quella di stabilire delle rotture con il passato in ciò che riguardava la condizione delle donne nella società: il CSP promulgato nel 1956 è il primo codice emanato dalla giovane repubblica tunisina proprio perché lo status delle donne in una società è un indicatore preciso del grado di modernità della stessa. Ed è anche questo status delle donne tunisine tra l’altro che gli stati europei non hanno mai smesso di mettere in evidenza per far finta di nulla sugli eccessi dittatoriali di Bourguiba, Ben Ali e del loro regime. Ma oggi bisogna dirlo chiaramente: non ci sarà mai una democrazia reale in Tunisia senza la totale uguaglianza dei diritti di uomini e donne.

Se la democrazia implica il diritto per tutte le organizzazioni e le opinioni politiche di esistere, non si può considerare il partito di Rached Ghannouchi, Ennadha, solamente come un partito politico in quanto trae i suoi fondamenti nella religione mussulmana. Oltretutto, l’esistenza di Ennahdha può portare alla creazione di altri partiti islamisti più moderati o più radicali ma che rischiano fortemente d’avere le stesse basi. Altrimenti, che cosa li distinguerebbe da un altro partito se non questa specificità? Oggi i militanti di organizzazioni politiche immaginano che il governo di transizione debba essere rappresentativo di tutti partiti politici esistenti e non vedono inconvenienti alla partecipazione di Ennahdha in un nuovo governo o in un comitato nazionale di supervisione del processo democratico. Un pericolo minaccia dunque i diritti delle donne e la loro posizione nella società proprio a causa della presenza sulla scena politica dei partiti con basi religiose: anche se oggi appaiono attualmente come dei convinti liberali hanno tuttavia la caratteristica di non ritenere che le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini, poiché il diritto alla libertà viene guidato e concesso al genere femminile solo dalla religione mussulmana. Dirò di più: questi partiti possono trovare appoggio in una base popolare che affonda la sue radici nella misoginia già presente e nelle concezioni retrograde sul ruolo della donna nella società. Essi possono dunque costituire un freno allo sviluppo dei diritti delle donne nel senso di una totale equità e per questo motivo è necessario definire i contorni della repubblica democratica che noi vogliamo.

La Commissione responsabile della riforma politica avrà questo compito con le organizzazioni della società civile e i rappresentanti dei partiti politici. Le donne hanno un ruolo fondamentale da giocare in questo momento di riforma per reclamare i loro diritti alla cittadinanza, alla libertà e all’uguaglianza e con esse tutti coloro per cui la democrazia è inseparabile dalla laicità e dalla modernità, radici e valori fondanti della stessa. E’ fondamentale per la democrazia politica ma anche sociale che lo stato liberale che verrà non sia il monopolio né di un partito né di una religione e che la repubblica sia allo stesso tempo democratica e laica.

La costruzione della democrazia in Tunisia è già cominciata. Essa non dev’essere costruita né senza le donne né contro le donne ma CON le donne, nell’ottica della conservazione dei diritti acquisiti e dello sviluppo di questi diritti verso un’uguaglianza totale e reale. Tutto ciò è fondamentale, anche se stiamo attraversando un periodo di turbolenza, conseguenza dei decenni di autoritarismo e di dittatura che abbiamo subito. Anzi a maggior ragione, è proprio perchè attraversiamo questo momento di turbolenze che abbiamo il dovere di definire chiaramente il progetto politico e sociale che desideriamo, basato sulla giustizia sociale e l’uguaglianza tra tutti e tutte, per tutti e tutte, fondamento di una vera e propria democrazia.”

Neila Jrad


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Passato/presente e ritorno

Emma siede davanti allo scrittoio da un po’ di tempo, spalle curve, troppo curve. Cerca di raddrizzare un po’ la schiena stanca dalla postura: niente. Non le riesce proprio di scrivere nulla questa volta. Non sono di certo le argomentazioni a mancarle, già espresse in parte nel saggio “La tratta delle donne”, né tantomeno è il tema della prostituzione a non riscuotere il suo interesse: ha passato una vita ad occuparsi dell’emancipazione e della liberazione del genere femminile, una volta è stata perfino arrestata mentre insegnava ad alcune donne l’uso di metodi contraccettivi. Sono le facce che sa già di vedere alla conferenza, le espressioni che sa di ritrovare in quei volti a causarle un blocco creativo. Emma è stanca di quei visi che subisce da una vita, attoniti, compunti, concentrati ma soprattutto sconvolti mentre annuiscono fintamente sotto baffi e barba o nascondono gesti di stizza sotto pastrani, sciarpe e cappellini. Compagni e compagne avvezzi a qualunque tipo di ragionamento, incluso l’utilizzo della violenza rivoluzionaria, ma totalmente refrattari alla rigenerazione interiore, al rigetto di quei pregiudizi considerati da tutti di secondaria importanza rispetto alla lotta per la libertà. Emma sorride, le è appena tornato in mente il vecchio Kropotkin quella volta in cui si sono incontrati, prima di Kronstadt, prima dell’orrore: “Vale la pena perdere tanto tempo a discutere di sesso?” le aveva detto.

“Dove devo firmare? Firmo sì, certo che firmo, è ora di dire basta, basta, basta. Basta con queste mignotte! Stanno rovinando quel poco che abbiamo conquistato: in galera devono andare, tutte quante! E che mica ci devono andare solo quelle di strada che bruciano i copertoni, devono finire al gabbio pure le esport, le escort, come si chiamano loro. Questo schifo deve finire, sono veramente nauseata, quindi firmo e scendo pure in piazza come ha detto il tiggitrè. Come? Legge Tarzia? Femminicidi? No, non so niente di queste cose politiche, non mi interessano affatto. Qua bisogna dare una ripulita di tutte queste zoccole che poi le guarda anche mio marito in tv. Sì, faccio la casalinga. No, certo che non sono retribuita, di pensione poi prenderò la minima…ma che c’entra tutto questo?”

Emma sa che la liberazione passa attraverso l’esercizio libero della propria sessualità perchè la schiavitù sta purtroppo nell’identificazione tra la prostituta e il mestiere che esercita, in quello status perenne e immodificabile che plasma la vita di chi si prostituisce, marchiandola in modo indelebile in quelle sudicie carte di riconoscimento che la bollano come “donna pubblica”. Emma è cosciente che la proibizione del meretricio sia non solo un esercizio inutile ma anche dannoso, sa che la prostituzione è dovuta a cause soprattutto economiche e sociali, all’inferiorità della donna rispetto all’uomo, spesso portata a vendere il proprio corpo a causa della mancanza di mezzi di sussistenza, così come nell’istituzione del matrimonio, a cui le donne che non vengono da situazioni sociali di forte criticità sono destinate, una prostituzione legalizzata sotto il controllo di uno stesso uomo da cui dipendono a vita. Emma già immagina quelle facce esibirsi in una serie di rughe da mostrare e labbra secche da bagnare e sopracciglia da aggrottare mentre paragonerà la prostituzione al matrimonio…

“Sì, firmerò anch’io e se il caso lo richiede, scenderò con le donne in piazza. Una volta abbattuto Berlusconi, il problema, almeno per le donne, sarà risolto. Poi ci penseremo noi, magari facendo un po’ di quote rosa in politica a ridare dignità e rappresentanza alle donne. Io, vede, ho moglie e figlia e queste cose non mi vanno proprio giù. Mia moglie lavora in casa, prima faceva la segretaria in uno studio legale ma quando è andata in maternità è stata licenziata; mia figlia invece sta ancora al liceo. Ecco, io non voglio che questi modelli malati di femminilità le vengano trasmessi, anche se non c’è nulla di male, per carità, nell’essere delle belle ragazze e voler mostrare il proprio corpo in tv. Ma mia figlia no, questo genere di cose non le deve fare, preferisco che si prenda una bella laurea e vada a lavorare onestamente. No guardi, non mi venga a dire che la prostituzione è una cosa e il sistema che permette a chi si prostituisce di fare carriera un altro, per me fa tutto parte dello stesso schifo. Adesso ci si mettono pure le minorenni. Minorenni troie. Sono anche loro che provocano, poi quando le stuprano…e non lo dico perchè sono maschilista, anzi, a me piacciono le belle ragazze. Quella Ruby ad esempio mi attira un sacco. Detto tra noi: vedesse che gran culo ha quella lì..”

Niente, non le riesce proprio di scrivere nulla, Emma assume involontariamente quel cipiglio severo che le è proprio e che fa tanto ridere Sasha. “Chissà cosa sta facendo..” No, meglio non seguire questo filo di pensieri, Emma è una donna gelosa e ne è pienamente consapevole, meglio pensare a qualcos’altro, a qualcun altro. Il suo sguardo vaga verso il ritratto di Mary Wollstonecraft, la donna in cui rivede se stessa nella ribellione ad ogni tipo di costrizione autoritaria e nella continua sfida al conformismo. E quella volta in cui, almeno dieci anni prima, nel 1911, le aveva dedicato una conferenza, le facce degli ascoltatori si erano trasformate visibilmente da sconvolte in inorridite: tutti pensavano che su Mary Wollstonecraft, su quella donna scandalosa, considerata da tutti una sgualdrina fosse calato per sempre il sipario e l’oblio . Invece per Emma la figura di Mary è stata la chiave di volta verso la critica al puritanesimo, alla moralità comune, all’ipocrisia anche tra gli stessi compagni e compagne. La sente sorella, affine al suo spirito ribelle, incredibilmente vicina. In lei si rispecchia e si riconosce.

“Ho deciso di firmare anch’io perchè sono stanca di vedere che la dignità della donna è calpestata da queste zoccole che infestano le televisioni e che fanno carriera vendendo il loro corpo. Devono morire! Devono sapere cos’è la fatica, devono imparare cos’è il sacrificio e farsi il mazzo come ho fatto io in tutti questi anni di studio sui quali ho speso tutte le mie energie. Ho anche un master, sa? Come vede, io ho scelto di non piegarmi a certe logiche di sfruttamento. Come dice? Sì lavoro nel privato. Sì sono precaria. Sì, lo so che guadagno meno dei miei colleghi maschi. Ma con la crisi che c’è sono stata fortunata a trovare almeno questo lavoro. Non sono mica come quelle lì, io, e sono felice di scendere in piazza e poter gridare finalmente a voce alta che non tutte le donne sono in vendita!”

Emma sistema gli occhiali sul naso, impugna la penna e comincia a scrivere.

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Iskidadebos feminas sardas!

Illustrazione di Dott. Fonk http://www.fotolog.com/konflitto

La zia Jo non è una fottuta nostalgica e questo post non è un rimpianto dei tempi che furono, neanche il solito “noi che” con gli sproloqui sugli anni ’80 che mi facevano cagare già negli anni ’80, commodore 64 e maniche a sbuffo incluse.

Tra l’altro la mia infanzia è stata parecchio differente rispetto a quella di chi è nato e cresciuto in città; i miei primi passi, e anche i secondi, li ho mossi in un paesino della Sardegna dove la natura la faceva per lo più da padrona, ma non mi dilungherei neanche su questo né sulle volte che si andava a rubare uva o ciliegie o a pescare i girini alla fontana non ricordo per quale assurdo e recondito scopo.

E’ solo un rendermi conto che il mio universo fantastico di bambina coincideva con l’universo magico-religioso dell’antico popolo degli Shardana che da millenni arrivava dritto dritto fino a me e mi veniva restituito nelle sue immagini coniate tutte al femminile che popolavano i miei sogni e scandivano le mie giornate.

Mi acquattavo nel muschio davanti alle domus de janas aspettando riuscire a vedere prima o poi proprio le janas, le minuscole fatine tessitrici e dispettose che abitavano le tombe neolitiche, quando mi capitava di passare da quelle parti.

Ero terrorizzata dalla sùrbile, la strega che succhiava il latte e faceva morire i neonati, forse antica reminescenza della ribelle Lilith, per non parlare di tutta la serie di “Maria + qualcosa” che erano le figure demoniache addette alla vendetta per qualcosa che non avrei proprio dovuto fare, il cui nome “Maria” è chiaramente un prestito cristiano alle favole pagane.

Maria Pettenedda in particolare mi faceva cagare sotto, ma quella che temevo di più era “Maria ‘e su sole” invocata da mia madre nei pomeriggi estivi quando gli adulti vorrebbero farsi una santa pennica e i bambini vorrebbero uscire a giocare alle 2-3 del pomeriggio mentre le cavallette e le cicale stridono in cerca dell’ombra e anche le lucertole sui muretti a secco si beccano l’insolazione: anche ora a pensarci mi viene in mente la mia personale raffigurazione della demonessa che viene a incenerirmi coi capelli in fiamme e gli occhi di brace.

Le mie nonne facevano da contraltare e da punto fermo alle immagini tutte al femminile di cui mi nutrivo: due gigantesse salde come macigni di granito, esempi di dignità e di fermezza d’animo ma anche simbolo di quelle antiche donne che non si sarebbero mai piegate davanti ai desideri machisti di nessuno né davanti ad una concezione patriarcale su presunti onori da vendicare o faide da perpetrare all’infinito.

Non avevo idea a quei tempi che il matriarcato in Barbagia cominciava a frantumarsi e che donne di quella tempra e di quell’età erano ormai le ultime depositarie di una cultura sacra e millenaria che partiva dal popolo nuragico e finiva con le accabbadoras e il loro potere sulla vita e sulla morte; non sapevo che tutto quel mondo che a me sembrava enormemente letargico si trovava in realtà alla fase terminale, totalmente impotente di fronte all’establishment dell’apparenza e del velinismo che si sarebbe abbattuto di lì a poco, riversato in abbondanza attraverso gli schermi televisivi dal colonizzatore Stato italiano.

E neanche la mia gente si accorgeva di nulla, il mio popolo che nella sua normalità andava tranquillamente avanti indifferente e talvolta fiero della sua diversità culturale, del suo matriarcato così peculiare e spesso anche dispotico e accentratore: il femmineo era ovunque, nella natura stessa, potente, selvaggia e immensa, che spezza, leviga e spiana col mutare del tempo ogni resistenza, nell’antichità di questa vecchia tartaruga che è la mia isola, nelle pietre che sussurrano a chiunque la voce della dea madre e nelle tante testimonianze del culto dei suoi pozzi sacri colmi d’acqua, l’origine della vita.

Poi qualcosa è andato storto.

Non so bene quando sia accaduto di preciso tutto questo sfacelo ma ora faccio una grande fatica a riconoscere la mia gente: le veline sarde, le vallette sarde, George Clooney al casu marzu, qua è tutta una corsa ai concorsi di bellezza. E poi Marco Carta e Valerio Scanu che vincono Sanremo e pullman organizzati colmi di madri e ragazzine urlanti che partono dai paesini col pranzo al sacco per andare a vederli in concerto.

Nel frattempo tutte le donne vengono fatte fuori dalla giunta regionale e a nessuno viene in mente di attrezzare manco un’ Ape Cross e andare a protestare. “Passerà”, pensano, aspettando la caduta di Berlusconi e del leccapiedi Cappellacci, come se fosse la fine dei mali della nostra isola.

La cultura matriarcale del centro-Sardegna è implosa, totalmente impreparata al sessismo di importazione, perfino l’identitarismo sardo ha assunto forme machiste, svenduto dal folklore stereotipato e dai coglionazzi che sentono dentro di sé tanto “orgoglio sardo” cantando l’inno della Brigata Sassari come se fosse una grande impresa salvo poi morire di leucemia al poligono di Quirra “pro s’onore de S’Italia e de Saldigna”, sproloquiando sugli “stranieri invasori” come dei bravi leghisti, totalmente incapaci di comprendere che un aquilano, un abitante di Terzigno o della Val di Susa contrario alla Tav è qualcuno con cui solidarizzare, non a cui fare la guerra, visto il piccolo, trascurabile problemino comune: lo Stato italiano.

Mi chiedo quando il mio popolo alzerà la testa e comincerà a riprendersi TUTTO quello che sta perdendo volontariamente, tutto ciò che sta buttando di sua sponte nel cesso in cambio di un appecoronamento servile e di un enorme lavaggio del cervello.

Mi chiedo quando spegnerà la televisione, come gesto di totale rifiuto nei confronti di una cultura malata che non ci appartiene, girando le spalle a chi vuole farci impazzire in questa continua smania di apparire più sardi e più esotici di ciò che siamo, tra un “ajòòò” e una spiaggia da cartolina.

Mi chiedo quando le donne sarde reagiranno con vigore ai soprusi che stanno subendo, dimentiche di essere le dirette discendenti della regina Eleonora d’Arborea, la cui Costituzione è stata d’esempio per l’Europa intera e osservata con rispetto per 500 anni, simbolo dell’unità della nostra isola. Il futuro è nelle vostre mani e in quelle dei figli e delle figlie che metterete al mondo, negli insegnamenti che voi gli darete, questo ci hanno insegnato le nostre antenate.

Perchè un popolo che rigetta o svende la propria cultura di sua volontà è destinato alla morte e alla colonizzazione. Per sempre.

Iskidadebos, feminas sardas!


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Black out per l’Ungheria

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