Si è fatto un gran parlare, tempo addietro, di certi manifesti del Pd: fiumi d’inchiostro virtuale sono stati sprecati nella disamina della comunicazione del partito in questione, sul sessismo implicito o esplicito nei partiti, sul vento che sarà anche cambiato ma porta ancora con sé zaffate di merda. Non voglio aggiungere nulla di nuovo alle gonnelle svolazzanti
Barbie-style alzate da quel colpo di vento (spirerà da destra o da sinistra? mah) o alla patta svolazzante di Bersani e non voglio aggiungere la mia opinione opinabile su un partito svolazzante come il Pd. Vorrei piuttosto soffermarmi sull’attribuzione “femminista” di determinate istanze e dichiarazioni e sul termine in sé che viene spesso frainteso o in qualche modo utilizzato in maniera impropria.
Le reazioni di molte donne del Pd ai suddetti manifesti infatti, soprattutto quelle del movimento del senonoraquando, si sono fatte subito sentire ponendosi apertamente in diretta polemica con l’immagine sessista ma allo stesso tempo si sono confuse con quante si trovano (ancora!) nella perenne attesa che i cari compagnucci si accorgano di loro, che il partito si accorga di loro (e non per le loro cosce e per le babbucce fucsia), che il mondo si accorga di loro, che la mentalità degli altri cambi e si diventi tutti antisessisti per intervento divino ecc. Non quindi ripartendo da sé e dalla capacità di riappropriarsi del diritto ad avere una sessualità propria a prescindere da un’ottica maschile ma spesso ridotte a chiedere l’elemosina al partito invece di emanciparsi, a difendere la presunta opposizione intoccabile in quanto opposta al male assoluto (Berlusconi. Detto anche Darth Vader). E purtroppo, a darsi delle “radical chic” a vicenda.
Mi ha colpito in questa vicenda anche l’uso del termine “femminismo” utilizzato in maniera assolutamente dispregiativa e quasi come sinonimo di “moralismo” da parte degli stessi compagni o dagli estimatori, piddini e non, di quei manifesti per designare proprio il movimento del snoq e tutte le donne che si sono opposte al sessismo di quell’immagine.
Vorrei uscire un attimo dalla polemica in sé e per sé non solo per affermare che l’uso del termine “femminismo”, già di per sé poco funzionale al singolare in quanto i femminismi sono molteplici, in questo caso è assolutamente ristretto all’antisessimo tout court ma che queste controversie sono lontane anni luce dai movimenti femministi mondiali che si battono per i diritti delle donne e per la parità: l’unico collegamento che questa diatriba mi consente di immaginare è con il solito problemino, prettamente italico e nostrano, della cultura berlusconiana del tettaculismo che ha ormai contagiato tutti, destra e sinistra nessuno escluso.
A tal proposito mi è capitato di recente di vedere un bel documentario di Arte, che potete trovare anche sul Tubbo diviso in 6 parti 6, sulla filosofa Judith Butler, a mio parere la più importante personalità vivente sull’approccio queer alla sessualità e una delle figure più carismatiche e rivoluzionarie per i gender studies dopo Foucault. Nella terza parte di questo doc alla domanda “Sono femminista?” la Butler risponde “Certamente” e rimarca “Il dubbio non è permesso. Sono femminista ma anche queer”, in maniera non escludente o disgiuntiva e totalmente affermativa; in lei non vi sono tentennamenti né esitazioni di sorta.
Tutto ciò potrebbe sembrare perfino curioso dal punto di vista italico poichè la Butler è stata considerata per molto tempo, e per certe femministe de’noartri ancora oggi, come colei che ha avversato il femminismo (apriti cielo!) vecchia maniera, con quella visione della donna-vittima e con la concezione granitica della differenza di genere. Invece l’assoluta affermazione del suo essere femminista, senza tentennamenti o dubbi, è pienamente decisa, marcata, consapevole.
Nel panorama italiano invece mi pare di notare spesso che i dubbi sul proprio percorso siano una delle preoccupazioni maggiori che affliggono gli attivisti in generale e le femministe in particolare, non come intento positivo di rimettere sempre tutto in discussione (a tal proposito il bellissimo post di Sud-de-Genere) ma piuttosto come atteggiamento negativo legato a spaesamento e confusione.
Sul blog di Giovanna Cosenza mi è stato risposto che in Italia il termine “femminismo” non è mai stata parola gradita per cui si preferisce usare il termine “antisessismo” in sostituzione: ma l’antisessismo è equivalente del femminismo o è solo una parte di esso? L’essere favorevoli ad una parità nei diritti, seppur nella differenza dei generi, implica anche ad esempio, il concetto di emancipazione?
Parimenti su molti altri spazi ho notato la stessa identica problematica, più o meno palesata, nell’utilizzo del termine in questione e nel volersi riconoscere in quel tipo di interesse, argomento o scelta di vita e mi chiedo se questo tipo di insabbiamento o la difficoltà di identificarsi nel percorso femminista sia qualcosa che riguarda la nostra specifica condizione sociale e politica.
Quasi 20 anni di berlusconismo (oh, il ventennio, vi ricorda niente?) non sono una cosa da poco: nonostante i tentativi di cancellare o minimizzare la portata di questo lungo fenomeno trovo che sia inutile nascondere le profonde tracce che esso ha lasciato nella nostra vita quotidiana e nella nostra cultura. Non sarebbe meglio cominciare a vederle per quello che sono?
C’è stato sicuramente chi per principio si è mosso subito contro questo sistema e c’è chi non solo l’ha respirato senza rendersene conto ma spesso e volentieri in quel background è nato, cresciuto e pasciuto: molte di quelle persone che militano oggi contro il sessismo dilagante del berlusconismo non hanno proprio avuto modo di conoscere altro, e mi riferisco soprattutto alle cosiddette nuove generazioni.
In tutto questo tempo le risposte più immediate e più spontanee dovevano essere per forza quelle antisessiste: in un sistema che impone come regola il sessismo l’unica ribellione possibile è ovviamente quella della strenua opposizione. Ad ogni input finora è corrisposta una reazione uguale contraria fatta della lunga trafila di segnalazioni allo Iap delle immagini lesive, delle indignazioni con i conseguenti appelli ecc; anzi mi pare che il movimento del snoq, quantomeno nella sua fondazione, si sia basato soprattutto su questo tipo di risposta.
Al tettaculismo imperante si è opposta la pudicizia e il richiamo alla dignità, alla mercificazione massificata dei corpi la voglia di ricreare un immaginario differente, alla mancanza di parità le battaglie ossessive sulle quote di genere (rosa o fucsia pure quelle), assolutamente di pari passo con quanti in altri movimenti si opponevano alla disonestà dilagante con il desiderio di legalità che sconfina nel giustizialismo ecc. Tutti imprigionati insomma in un meccanismo di azione e reazione che è stato per molto tempo l’unico possibile, l’unico che ci fosse concesso.
Anche il femminismo nostrano quindi, volente o nolente, è stato coinvolto e triturato nell’antiberlusconismo ma vi sono sempre state delle istanze per così dire, “resistenti” che hanno attraversato questi lunghi anni in maniera autonoma e con percorsi a sé stanti.
Nei media generalisti invece si ribadisce spesso con intento censorio, che “il femminismo è morto”. Amen. Se non avessi partecipato fisicamente insieme ad altre 100.000 persone nel novembre 2007 alla grande manifestazione contro la violenza sulle donne e se non avessi notato la giovane età delle partecipanti probabilmente avrei potuto dare ragione a queste scribacchine di regime.
Quindi spiacente per loro ma i femminismi non solo sono vivi e vegeti ma è più che mai forte il bisogno di ri-costruire i movimenti, la voglia di autodeterminarsi, il desiderio di proporre pensieri nuovi e totalmente autonomi rispetto al modello imperante, a prescindere dalle lotte comuni (leggi: Berlusconi e i suoi scagnozzi).
Esiste inoltre la possibilità, oggi più di ieri grazie alla rete, di collegarsi a femminismi già attivi ed esistenti di portata mondiale come l’ecofemminismo di Vandana Shiva, la già citata teoria queer della Butler, le postpornografia da Annie Sprinkle in poi, i femminismi rivoluzionari di matrice locale (islamici e non) con esponenti di punta come Nawal al-Sa’dawi, tanto per citare dei facili esempi.
Si dice che il berlusconismo come fenomeno di massa sia arrivato alla fine, che abbia i giorni contati: sta ora a noi, femministe e disertori del patriarcato che ci siamo posti finora in maniera del tutto affermativa, superare quell’esercizio di mera reazione a ciò che ci viene propinato e partire da sé creando ex novo o riallacciandoci a qualcosa di già esistente. In rete c’è già da tanto tempo un dialogo convulso e fitto di ragionamenti su questi temi, sarebbe bello poterne discutere tutti e tutte insieme: la proposta, che viene da Femminismo a Sud, c’è già.
Comunque sia, andiamo oltre.