La birra Ichnusa in Sardegna è una vera e propria istituzione, si sa. Poco importa che sia passata alla Heineken per i cultori della bevanda e poco importa dove e quanto venga venduta “in continente”: se non siete mai passati dalle mie parti certi rituali su questa birra non li conoscerete mai.
Nel 2012 cade il centenario della birra Ichnusa e per l’occasione è stato deciso di mandare in onda sulle reti nazionali questo spot. Certe volte mi sento proprio fortunata a non avere il televisore e questo è uno di quei casi.
Lo spot ritrae un’isola che non è mai esistita, fatta di ragazze morigerate e pie ma avvenenti (forse anche un po’ porche dentro?) con le labbra a canotto che nel 1912 avrebbero dovuto presumibilmente circolare tra i tavolini dei bar per servire giovanotti cavallerizzi. Io francamente non ho idea di dove i pubblicitari vadano a pescare queste minchiate e sinceramente non lo voglio manco più sapere, ci rinuncio.
Mia nonna, classe 1897, a quei tempi zappava la terra come buona parte delle donne di quel tempo (lavoravano tutte), solo le pochissime donne ricche di famiglia potevano permettersi di non dedicarsi direttamente all’agricoltura ma si occupavano comunque dell’amministrazione della casa e dei beni. Nessuna donna, specie se giovane, frequentava i tzilleri, a meno che non fosse la madre o la moglie del proprietario della bettola, altrimenti era espressamente vietato.
Nei primi decenni del secolo scorso le donne facevano un grande uso del tabacco da fiuto e giravano scalze, facevano la pipì in mezzo alla strada allargando solo le gambe sotto la gonna e svolgevano tutte troppi lavori di peso e manuali per curare quella “femminilità” che è arrivata in Sardegna negli ultimi anni attraverso la spinta di un immaginario americano anni ’50 che non ci appartiene minimamente.
Oltretutto la rappresentazione del giovanotto a cavallo che fa tanto il figo con gli amici (sempre a cavallo) riporta alla mente un’idea di ricchezza: la cavalcatura dei poveri in Sardegna è infatti sempre stato l’asino o tutt’al più il carro di buoi. Per maggiori dettagli sulla vita di quei tempi basterebbe che i pubblicitari di questo spot con la donna servile avessero letto almeno uno dei romanzi della Deledda, credo che intorno al 1912 guardacaso abbia scritto proprio Canne al Vento.
Ho cercato sul web l’indirizzo mail per mandare alla Ichnusa la mia formale protesta ma non ho trovato nulla; per ora mi limito a guardare le foto di mia nonna contadina con le mani come due badili e a sorridere..
Già
condivido , ottima analisi.